Il voto dei giovani elbani dai 18 ai 25 anni d’età è andato per una buona maggioranza all’Unione di centrosinistra (55,59%). E’ un voto in controtendenza a quello espresso in queste elezioni per il centrodestra, dai loro genitori, zii, nonni e che ne ribalta il risultato. E’ un voto che, proprio perché si differenzia e contrasta platealmente con quello che è stato il voto dominante elbano (al centrodestra il 55,33%), assume un significato di più forte denuncia ed insoddisfazione del disagio esistenziale dei giovani elbani e di presa di distanza da chi vuol lasciare le cose così come stanno, verso l’incoerenza e la mancanza di trasparenza della politica dai valori civili ed etici. E’ un voto politico per farsi riconoscere, rivolto in controtendenza a chi fino adesso non li ha considerati, che dice: ci siamo anche noi e vogliamo essere ascoltati. E’ un voto che chiede radicali cambiamenti di prospettiva, di valore e delle condizioni materiali di chi giovane, cresce, vive e si forma nell’isola (la scuola, il lavoro, la mobilità con il continente ed i servizi, la vita sociale). Un altro dato da rilevare è che, all’interno dell’Unione, il voto dei giovani è andato maggiormente alla lista dell’Ulivo e alla formazione dei Verdi. Sono apparsi i soggetti ed i progetti politici meno tradizionali e per alcuni versi più innovativi e adeguati alle sfide della modernità. Anche nel voto dei giovani si ritrova un’idea ed una spinta semplificante e unificante della politica, rivolta ai contenuti ed ai valori ed una volontà partecipativa che non potrà essere elusa e delusa e questo vale per il centrodestra e tanto più per il centrosinistra. Una partecipazione che difficilmente si potrà esprimere in una militanza partitica, ma che si potrà esprimere più su progetti ed obiettivi generali e in forme d’impegno diretto. Hanno votato le generazioni formatesi negli anni 80, successivamente alla caduta dei grandi sistemi ideologici e bipolari ed alla scomparsa dei grandi partiti di massa, alla crisi della politica e dello stato sociale. Sono anche le generazioni che stanno vivendo direttamente gli effetti sociali economici, civili e culturali della globalizzazione e della rivoluzione tecnologica e informatica, con le contraddizioni e le opportunità che tutto ciò offre. Nella formazione della coscienza politica di queste generazioni ha più pesato la propria problematica esperienza di vita, nel lavoro, nella scuola, nelle relazioni sociali, che non la trasmissione in continuità degli apparati sociali, culturali e religiosi, conosciuti dalle precedenti generazioni: la famiglia, i circoli parrocchiali, le associazioni culturali, i partiti. Ha pesato più il quotidiano confronto con la complessità di un mondo, reso più piccolo e visibile dall’informatizzazione dei media, con modelli culturali, stili e condizioni di vita diversi e talvolta in contrasto valoriale con i propri, introdotti da grandi flussi immigratori, con i rischi, se non governati, d’esclusione e d’emarginazione che ne possono derivare. La vita per queste generazioni si è senz’altro fatta anche più competitiva, più ricca d’opportunità per la realizzazione dei propri desideri e per aspirazioni di tipo personale, in modo più libero e dignitoso, ma dobbiamo riconoscere che a queste generazioni sono state precluse e chiuse molte strade e porte, sono stati sottratti o distolti, via via, mezzi e risorse, complicandone l’esistenza. Sono le generazioni che hanno partecipato personalmente, dopo anni di pace e in contrasto con la Costituzione del proprio paese, all’uso della guerra per risolvere le controversie, basta pensare alla giovane età dei soldati italiani partecipanti e morti in Irak o in Afghanistan; sono le generazioni che hanno conosciuto gli effetti devastanti di un uso incontrollato della scienza e della tecnologia (la catastrofe nucleare di Chernobil, il buco dell’ozono e le variazioni climatiche e ambientali dovute a modelli di sfruttamento intenso delle risorse naturali); sono le generazioni le cui condizioni materiali ed esistenziali di vita sembrano arretrarsi rispetto a quelle dei propri genitori: la perdita di qualità e l’abbandono della scuola, la precarietà del lavoro e della professione, le perduranti discriminazioni delle donne, il disconoscimento di nuovi diritti, le difficoltà alla vita autonoma e indipendente di coppia o della famiglia, spesso per instabilità di reddito o mancanza di casa o lavoro. Eppure non sono mancati in questi anni segnali di un disagio sociale e d’insoddisfazione crescente verso queste chiusure, di denuncia della sordità politica del governo, dai grandi movimenti per la pace e per la difesa dell’ambiente e dei più deboli, fino alle manifestazioni contro la precarietà dei diritti e del lavoro. E’ evidente che i giovani si sono sentiti traditi da politiche (le cosiddette “riforme” del lavoro e della scuola) che, propagandate come liberatrici da vincoli corporativi ed includenti nuove opportunità di lavoro e di professione o una più ampia gamma d’accesso all’istruzione più qualificata, si sono risolte in una precarietà sociale esasperata, in una quasi selezione di “classe”, chi ha i mezzi bene, chi non ha si arrangi. E’ il momento di raccogliere questo messaggio, di ascoltare e riconoscere i giovani elbani, essi non parlano solo per se stessi, parlano del futuro dell’isola.
Ragazzi sinistra 25 aprile