E’ difficile trovare autori che non si lascino attrarre solo dal mito romantico di un Nepal che non esiste più, o che si vuole cancellare con la sopraffazione, ma ecco che Maniushree Thapa, una giornalista locale, sconvolta dal sanguinoso colpo di stato attuato nel 2001 con lo sterminio della famiglia reale e del re Birenda, decide di mettere in discussione la propria appartenenza al “paese della montagne” e ne racconta la storia, vive i fatti in prima persona, incontra la gente, a piedi attraverso valichi innevati e valli dimenticate da qualsiasi dio se non quello della morte, fa l’unica cosa possibile: ascoltare . Un bel libro? Di sicuro un documento importante per rompere questo muro di silenzio. Nella seconda parte del racconto, la migliore, quella del viaggio, si mescolano il Nepal di oggi e il Nepal di sempre: di 12.000 morti in dieci anni, vittime della spietatezza di entrambi gli schieramenti, di villaggi in cui un piatto di dal bhat è vera ricchezza, di misteriosi custodi di templi abbandonati, di Sherpa e di Sadhu, veri o per turisti. Fra le pagine i fuochi per le strade tornano a scandire l’inizio e la fine di ogni giornata, e i mille incensi a profumare la quotidianità di uomini che non hanno altro confine se non miseria e monti invalicabili, ora però anche involontari destinatari degli appelli e delle bombe del fronte maoista, e della conseguente folle intransigenza dell’usurpatore Gyanendra. Con l’unico risultato di far precipitare tutto il paese in un vortice di violenza e di sangue. E ora cosa resta per chiunque abbia amato l’incanto di un incomprensibile, totale coinvolgimento; per chiunque si sia lasciato stregare dal sorriso e dalla spiritualità di un vecchio nepalese, con cui dividere un pacchetto di sigarette senza dirsi una parola? Resta la speranza che Kathmandu torni ad essere il luogo dei colori e dei profumi, dei roghi funebri e dell’assoluto. Il luogo del ritorno. Namaste Manjushree Thapa FORGET KATHMANDU Neri Pozza Editore € 18.00
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