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Moby Prince, è l’ora della verità

Scritto da : Elena Maestrini
Pubblicato in data : martedì, 11 aprile 2006

La sera del 10 aprile di 15 anni fa, la Toscana subì la più grave tragedia nella storia della marineria italiana: la strage del Moby Prince con 140 morti carbonizzati, arsi vivi o soffocati dal fumo nella rada livornese. Quindici anni dopo, l’unica certezza è che la verità è lontana, avvolta da una fitta nebbia e da segreti militari ben custoditi che impediscono probabilmente di accertare la dinamica del terrificante speronamento del traghetto Navarma contro la superpetroliera Agip Abruzzo. Dopo 2 processi in primo grado (tutti assolti) e uno di appello (con la condanna, prescritta, di un marinaio dell'Agip Abruzzo), mancano causa e colpevoli, e i misteri ricordano quelli della strage di Ustica. Ancora oggi non è possibile accedere a tracciati radar e foto satellitari, all’unica documentazione che possa fugare tutti i dubbi. Resta il balletto delle perizie e degli atti processuali che parlano di cause tecniche, umana distrazione, addirittura nebbia, strani traffici di armi e di carburante in corso all’ora della collisione in quel tratto di mare. Ma soprattutto è rimasto sullo sfondo il ruolo delle 5 navi militari statunitensi cariche di armi e munizioni di ritorno dall’operazione Desert Storm e impegnate nelle operazioni di scarico con la base di Camp Darby, una delle quali dovette essere rapidamente allontanata perché minacciata dalle fiamme del Moby Prince. Abbiamo chiesto per anni lumi all’Ambasciata Usa a Roma e, a sorpresa, è arrivata la risposta che resta l’unico documento ufficiale statunitense sull’incidente. E’ una lettera del Governo Usa, firmata dal Capitano di Vascello della Marina Militare John T. Oliver capo ufficio responsabile dell’avvocatura militare del Dipartimento della Difesa che si dice certo che “il Governo degli Stati Uniti abbia ampiamente contribuito alle indagini ufficiali svolte dalle autorità italiane…non vi è altro in possesso del Governo che possa gettare luce sul disastro”. Ma aggiunge anche che “Camp Darby non è in possesso, ne lo era all’epoca, di attrezzature in grado di intercettare le comunicazioni radio della Moby Prince...allo stesso modo Camp Darby non è dotata di attrezzatura radar… il Governo Usa non aveva alcun motivo di monitorare il Porto di Livorno con un sistema di immagini satellitari e non lo stava facendo. Non sono quindi disponibili immagini o registrazioni di alcun tipo”. E’ davvero poco credibile che quella sera, nonostante i rischi per la guerra del Golfo e quelle 5 navi-arsenali, gli Usa non avessero predisposto sistemi di monitoraggio satellitare del porto o di comunicazione via radio per coordinare le delicatissime operazioni di scarico in mare tra Camp Darby e Capitaneria. Era davvero questo il livello di sicurezza per Camp Darby, il più grande arsenale Usa nel mondo? Ciò che non ha fatto il Governo Berlusconi lo faccia il nuovo Governo italiano: chieda, imponga agli Usa di collaborare quantomeno per fugare ogni dubbio sul posizionamento delle navi, per escludere che una di esse possa essere divenuta un ostacolo improvviso sulla rotta del Moby per una manovra incauta e non comunicata. Dopo anni di silenzi è l’ora della verità, da ricercare anche attraverso la costituzione di una Commissione di indagine parlamentare. Verità e giustizia si devono soprattutto ai familiari delle vittime ma anche alla Toscana.


Moby Prince

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