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Robert Schneider. Le voci del mondo

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : giovedì, 16 marzo 2006

Elias sente le voci, poggia il volto sui sassi e ogni sibilo, ogni gemito, ogni tuono lo pervade, il respiro dei viventi e le crepe della terra. Ognuno lo fa suo, in un dono che è anche maledizione; dal soffio del vento ai grugniti del maiale, ai battiti del cuore di chi sta nascendo, non c’è suono che Elias non riesca percepire, a filtrare dal suo orecchio straordinario e renderlo melodia, musica universale ma ignota, magia assoluta che irradia l’anima ma anche il corpo, che si deforma in una simbiosi fra note e materia, rendendolo unico, ora nella sua genialità ora nella sua brutalità. Elias cattura ogni respiro che si offre agli uomini incapaci di stabilire un contatto con la loro parte più intima e con tutto ciò che li circonda. Elias sente il mondo e i suoni del mondo, non può farne a meno, anche se questo comporta dolore fisico, oblio da parte dei normali che non colgono l’essenza di una simbiosi fra individuo e realtà, a costo di apparire, di essere diversi. Diversità nell’anima ma anche nell’aspetto, che sublima la magia della trasformazione e ne diventa oggetto: “il mostro dagli occhi di piscio, sdraiato sul terreno umido del bosco deserto” , che incanta la platea quando con l’organo della chiesa compone e suona melodie sconosciute. Improvvisate da quello strano personaggio, ora rifiuto, ora idolo, che pur non conoscendo musica e spartiti, è il “mostro” che regala ad un triste villaggio austro-ungarico di metà ottocento l’opportunità per sconfiggere il ripetitivo narrare le tragedie passate, unica legittimazione, solitaria consacrazione del tempo scandito dagli eventi, drammaticamente definibili, narrabili, calendario dell’esserci, comunque. L’incendio o l’epidemia di questo o quell’ anno, tanti morti una volta, tanti l’altra. Elias è il “mostro”, perché scava nella terra e va oltre la percezione immediata, Elias sente le voci e ne fa canto, le sente a tal punto da essere così diverso, da voler essere egli stesso terra e musica, materia e anima. Melodia per l’organo e per il cuore. Perché Elias è da evitare, nonostante il suo genio e il suo talento, o forse proprio per quello, perché non si nasconde, “senza Dio”, dicono, ma sa che se Dio esiste, esiste nella voce del mondo, in quella serie di messaggi, di opportunità che solo i privilegiati sanno cogliere, a dispetto del loro aspetto fisico e del loro ruolo. Elias non sta suonando, sta predicando, sta esponendo con consapevole distacco se stesso al giudizio della platea della chiesa che ora non può distogliere l’attenzione dalle sue note tragiche, drammatiche, assolute nella loro improvvisazione. Suona per Elsbeth, Elias, la sua danza dell’amore che non può conoscere confini e che pure si realizza nell’assoluto della non conoscenza, la musica che la terra lascia percepire a chi ha i talenti e la volontà di cercare. Cercare dentro se stessi e negli altri, con ansia, non dormendo mai. Smette di essere uomo “normale” e non si sottrae alla metamorfosi, perché percepisce ineludibile il suo essere nel mondo, anche se a tempo determinato. E la sua vita è tutta nell’ultimo capitolo, quello in cui Schneider ristabilisce i ruoli del vivere quotidiano, del sublimare le percezioni musicali in quelle più mediocri sepolte nell’anima mitteleuropea di un mondo che sarebbe destinato a sparire se Elias non fosse in grado di percepire “le voci del mondo”, e ne facesse la sua “missione”, convinto che “chi ama veramente non dorme, morirà dopo aver ascoltato ogni possibile rumore, per quanto piccolo e significativo, senza che il mondo abbia ascoltato lui, piccolo profeta di un amore da consumare in silenzio, come i battiti del cuore”. Robert Schneider Le voci del mondo Einaudi € 8,30


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