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Controcopertina: su "1, 100, 1000 Nassirya" e dintorni

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : venerdì, 24 febbraio 2006

Caro Rossi, tornerei sulla questione sollevata nei giorni scorsi da Tiro Fisso e dalla Primula, e dai commenti di “A sciambere” e della Controcopertina di oggi. Il discorso è importante, e mi pare degno d’essere approfondito. Procedo per punti, per vedere se fo prima. 1. Roberto Calderoli –come chiunque– ha tutto il diritto di dire quello che ha detto e quant’altro, perché il diritto a esprimere le proprie opinioni è fondamentale nel nostro ordinamento (art. 21 Cost.) e nella cultura occidentale dopo le rivoluzioni americana e francese del XVIII secolo. Il ministro delle Riforme della Repubblica (che incidentalmente è Roberto Calderoli) deve parlare in quanto ministro, e il suo pensiero se lo tiene per sé o smette di essere ministro, come è accaduto: perché ‘ministro’ vuol dire ‘servitore’, e chi non serve bene deve smettere di esserlo; nel caso presente il ministro ha agito a servizio di sé e della sua parte politica, non della Repubblica (cfr. Primula Russa); quindi è tornato ad essere semplicemente il cittadino Calderoli, con il suo sacrosanto diritto di dire quello che la sua cultura gli suggerisce. E’ dunque necessario distinguere bene il piano dei diritti da quello delle opportunità, a prescindere da Calderoli. Il tema religioso, a esempio, è assai delicato, e tocca sensibilità diverse in relazione alle diverse culture; da noi, specie in Toscana, non è rarissimo sentire bestemmie anche molto colorite ed elaborate, senza che questo produca sconvolgimenti; c’è in proposito perfino un bonario proverbio che invita a scherzare coi fanti e a lasciar stare i santi, anche se il “Vernacoliere” ne tiene conto così e così, senza che a nessuno venga in mente (almeno per ora) di sopprimerlo. Ma non è detto che dappertutto sia così. Eppure le vignette incriminate non hanno, evidentemente, l’intedimento di offendere il Profeta –che resta integro nella sua dignità come il bestemmiatissimo Dio dei cristiani–, ma quello, sicuramente opinabile e tuttavia assai meno grave, di criticare o anche di offendere coloro che si proclamano suoi fedeli. Trasferire il discorso dal piano dell’offesa ai fedeli a quello dell’offesa alla divinità è operazione non corretta, e configura una dialettica degna di miglior causa fra laicismo (dell’offensore) e integralismo (dell’offeso), che mi pare estranea al dialogo pur sempre utile tra laicità e fede. Possibilmente senza trasformismi opportunistici ed estemporanei. 2. Sui cori e gli atti di alcuni dei manifestanti romani il discorso è in parte uguale, in parte diverso. Lo slogan “una, cento, mille Nassirya” è un brutto calco di quel “uno, cento mille Vietnam” che in altri tempi rappresentava la speranza di ogni lotta all’imperialismo delle superpotenze (con gli esiti che ben conosciamo!). Era bello e significativo; per questo è rimasto impresso per quarant’anni, pur dovendo subire l’onta del riciclaggio sportivo (“uno, cento, mille Scirea”) da parte di migliaia di persone alienate, nel senso marxiano del termine. Applicato a Nassirya è, a mio modo di vedere, solo espressione di una in cultura disperata, incapace di capire e di usare l’intelligenza per “dire qualcosa di ‘sinistra’” (cfr. A sciambere). Non credo che nessuno volesse offendere le persone morte, anche per la vanità di una operazione del genere (del resto a Roma il più noto modo di dire è per l’appunto “li mortacci tua”). Come nel caso della bestemmia, l’intenzione semmai era di colpire coloro che su quei morti hanno profuso fiumi di retorica, in una gara all’oscar dell’amor di patria che tradiva l’urgenza di nascondere l’inganno con cui erano stati mandati a morire. Io trovo lo slogan gridato nell’occasione molto spiacevole e tragicamente superficiale, e non mi interessa giustificare chi vuol far politica per gratificare se stesso e il proprio essere più a sinistra di tutti. Ma non sparerei col cannone su una mosca, come forse Tiro Fisso e la Controcopertina hanno fatto. L’on. Ferrando è stato liquidato con eccessiva sufficienza tanto dai DS quanto dal suo stesso partito: può aver detto cose inopportune per le rispettive strategie, ma ha il sacrosanto diritto di dirle e, nel suo caso, a nome di chi in qualche modo egli rappresenta. 3. Sulla questione delle bandiere calpestate e bruciate devo dire che francamente mi commuovo poco. Come mi commuovo poco per le patrie che esse dovrebbero rappresentare, visto che le occasioni in cui lo sventolio si fa più intenso sono le manifestazioni sportive. “Beato il popolo che non ha bisogno di eroi”, diceva Brecht; e io aggiungere: “né di bandiere”. Le bandiere sono belle, come gli slogan e il battito ritmico delle mani (nuova tribale danza di guerra). Ma sono simboli, e come tali sono trattati tanto da chi le sventola che da chi le calpesta. Se poi devono servire a coprire dei giovani morti, mi pare divengano un facile palliativo autoconsolatorio, come tutta la retorica dei funerali solenni, con i quali si vuole stravolgere il dolore, quello sì vero e profondo, di chi quei morti piange come carne della propria carne. I morti non possono aver bandiera ma solo stele di pietra. Condivido gli orrori per chi uccide e per chi si toglie la vita per uccidere, ma non eludo i rapporti di causa e effetto. Non ho mai amato Saddam (e mi pare difficile trovare qualcuno che lo ami o l’abbia amato); ma l’invasione di uno Stato per qualsiasi motivo è un atto che sconvolge la convivenza internazionale, e non può in nessun caso essere deciso da una singola nazione, con due o tre fedeli servitori. Sono solidale con i soldati solo perché fanno quello che viene loro ordinato, e non possono fare diversamente; per il resto farei a meno della loro esistenza, e amerei che i carabinieri svolgessero il loro servizio qui da noi, dove ce n’è tanto bisogno. Ma questo riguarda me, che sono anche poco interessato al fatto che la Nazionale italiana vinca i campionati mondiali, dei quali spero che vincitore sia chi gioca meglio. Concludo ricordando Voltaire: ognuno ha diritto a esprimere la propria opinione; e sono disposto a combattere per quel diritto anche se quell’opinione è da me fieramente avversata.


Iraq check point

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