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La difesa del popolo iracheno

Scritto da : Elena Maestrini
Pubblicato in data : venerdì, 04 aprile 2003

“Ma se l’avessero fatto a casa tua di buttare giù un paio di palazzi facendoci sbattere un aereo, te cosa avresti fatto?”, voleva sapere da me con tono inquisitorio un entusiasta sostenitore di questa guerra dai molti e ambigui obiettivi. Ho dovuto usare tutto il self control proprio di noialtri nati nella banlieu labronica per non domandare a questo tizio se non dividesse con Bush - a giorni alterni - un unico neurone aerofagico. Ammesso anche che sia ancora sostenibile un legame tra il terrorismo e questa guerra, continuerei a stare dalla parte della pace. “Ma allora ce l’hai con gli americani”, insiste lui compiendo un gesto che mi ha ricordato all’improvviso Renato Rascel vestito da corazziere. Non è che siano il massimo della simpatia, ma non ce l’ho con gli americani. Concordo, invece, con chi sostiene che la guerra è il trionfo di chi ha una visione semplificata e quindi irreale del mondo e che la pace, invece, è il risultato dello sforzo politico necessario e irrinunciabile di governo della complessità. Se il mondo è semplice basta un attrezzo semplice per aggiustarlo quando non funziona: la guerra. Ma non è così, e questi ultimi anni tragici lo dimostrano empiricamente. La leadership della superpotenza americana mostra oggi tutti i propri limiti, e la conquista dell’Irak invaso romperebbe ogni argine alla loro tracotanza. Prevengo l’obiezione che mi farebbe il mio interlocutore di qualche giorno addietro: non tifo per quel satrapo di Saddam. Mi sbaglierò, eppure non riesco a non augurarmi – ed in buona compagnia - che il popolo irakeno, che di diritto e di fatto sta subendo un’aggressione, opponga ogni resistenza possibile agli eserciti che hanno invaso il paese. Solo una qualche forma di difesa della propria casa può separare le sorti del popolo irakeno e del dittatore. Per poter avere una pace magari da sconfitti ma non da umiliati e asserviti dalle legioni imperiali. Non si tratta di cinismo né di speculazione sul dolore altrui: tutti vorremmo subito la cessazione dell’attacco; si tratta di evitare un’eventualità che segnerebbe la possibilità di pace futura e forse la qualità generale dei rapporti internazionali...