Si potrebbe ritenere che un contributo statale riconosciuto ad una azienda privata debba avere funzione di rilancio, di sviluppo o di utilizzo in momenti particolari: ristrutturazioni aziendali, adeguamenti tecnici derivanti dall’emanazione di nuove normative, catastrofi, gravi o straordinari eventi di ogni genere. Pare invece che la stragrande maggioranza dell’imprenditoria italiana gestisca i propri bilanci trattando i contributi statali come un ricavo stabile, addirittura con il desiderio di poterlo contabilizzare nella gestione ordinaria, piuttosto che in quella straordinaria. Cosicché il contributo non solo permetta di mantenere i redditi dell’azienda ma anche il tanto atteso dividendo. Noti imprenditori hanno fondato le loro aziende, e sono riusciti a garantirne la continuità, sfruttando rottamazioni, vuoti legislativi, decreti ponte. Siamo passati dai mitici Cini, Volpi, Orlando, ai salotti buoni e meno buoni, fascisti quando c’era da esser fascisti e partigiani quando c’era da esser partigiani. Ora non ci si capisce più niente: il capace imprenditore toglie i soldi ai capaci imprenditori. Dalle casse per il mezzogiorno al butta la tua macchina che te ne diamo un’altra uguale pari pari, ne passa di strada. Ma quello che è intollerabile è che, in un’Italia dove tutti quelli che debbono tirare la cinghia l’hanno fatta scorrere di un altro buco, chi la cintola l’ha sempre tenuta larga un buchettino non lo vuol proprio ritirare. Ed è così che pendolari lavoratori ciucciano. Come sempre, ciuccia e riciuccia, va a finire male. Strana l’attuale crisi economica che vede la quasi totalità delle società quotate in borsa aumentare i propri ritorni sugli investimenti, incrementare dividendi, fare operazioni finanziarie tra le più audaci, e non mi si tiri fuori la solita storia che la borsa anticipa i cicli, prevede il futuro e valuta la visibilità degli utili a venire. Qui c’è la crisi per certe persone e c’è il bengodi per altre e questa storia dura da troppo, troppo tempo. Gli stessi personaggi che criticano l’intervento dello stato in economia auspicano l’intervento dello stato a fondo perduto a favore delle loro aziende. Gli ammiratori della “Lady di Ferro” che mise in ginocchio le categorie di lavoratori più povere e meno protette in Inghilterra, ora sono gli stessi che per far rendere le loro aziende mendicano contributi e sostegni statali d’ogni genere senza preoccuparsi che anche nel piangere bisognerebbe mantenere una certa dignità. Per consolare i piagnucolanti e provati imprenditori ed anche per la sua ginnastica mentale Mister Rossi, che magari invecchiando potrebbe perdermi qualche colpo, consiglio un bel film di Mark Herman (ahimé distribuito in VHS – questo ho trovato – da riahimé Mondatori Video), protagonisti Ewan McGregor, Pete Postlethwaite e Tara Fitzgerald: Grazie Signora Thatcher. Uno spaccato dello Yorkshire, fine anni ’80 durante l’ondata di chiusura delle miniere del Nord dell’Inghilterra: forti tensioni sociali ed effetti devastanti. Auguro ai poveri imprenditori – o prenditori, che ne dice Rossi? – di non dover vendere per sopravvivere gli strumenti per coltivare i loro hobby – come peraltro succede nel film – perché in una famiglia di povera gente quando diminuiscono gli introiti si tagliano i soldi per i vizi e non è che si smetta di andare a lavoro. Ma questa è una storia di dignità e ciò di cui abbiamo parlato è tutta un’altra storia. Robi Veltroni Prenditori Veltroni, decisamente prenditori - S.R.
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