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I giovani e la politica

Scritto da : Elena Maestrini
Pubblicato in data : giovedì, 26 gennaio 2006

Spero che insieme all’esaurirsi del Belusconismo si chiuda anche la cosiddetta stagione dell’antipolitica. Quest’ultima ne è figlia ed interprete coerente. L’antipolitica si è manifestata in vari modi: innanzitutto con un attacco continuo alla politica, presentata, nel migliore dei casi come “lenta”, burocratica, indecisa e nel peggiore, come luogo del clientelismo, del parassitismo, del fannullonismo, per usare un termine caro a Berlusconi. L’attacco più violento è stato in ogni modo verso quelle forme della politica che esprimevano una maggiore funzione democratica e aggregativa, ideale e militante, ed un esteso e partecipato radicamento nel territorio e nelle persone, cioè i partiti politici. Questi sono stati imputati quali impedimenti ed ostacoli all’affermarsi di un altro modo di fare politica, di derivazione aziendalistica e privatistica, ad un modo che rifiuta a priori il confronto, la ricerca del consenso e della mediazione; una politica che si basa solo sulla capacità decisionale del capo e su quella di produrre utili e convenienze ai propri soci (gli interessi azionari del proprio blocco elettorale). La base di questa operazione ha trovato ragione, a fronte dei processi di globalizzazione dei mercati capitalistici di questi anni, nell’affermarsi di un ideologia liberista, di cui il Berlusconismo ne è stata una variante peggiorativa. Una politica che in ragione del famoso slogan, più mercato meno stato, affidava le condizioni di vita delle persone alle sole capacità benefiche e risolutive della cosiddetta libertà del mercato (che poi è la legge della giungla dove è sempre il più debole a soccombere) e delle capacità salvifiche dell’individuo (che nel concreto è l’individuo già detentore di ricchezza e potere economico, cioè il ricco), ambedue finalmente liberatesi degli orpelli dell’eguaglianza, della solidarietà intergenerazionale e sociale. Sappiamo ormai e vediamo che questa operazione ha prodotto insicurezza e precarietà sociale, forti ed evidenti disuguaglianze sociali, incertezza nel futuro e mancanza di prospettive per le nuove generazioni. E’ da questa situazione che torna forte il bisogno d’impegno civile e politico attivo, specie fra le giovani generazioni. E’ un bisogno da raccogliere ed orientare verso l’attività, la militanza e la partecipazione politica, la sola che può aiutare, non solo a sopportare la sensazione d’isolamento e d’abbandono che talvolta assale ampi strati sociali, ma, nell’agire insieme, a dare fiducia e speranza che cambiare è possibile. Anche nella cosiddetta sinistra antagonista è, in parte, penetrata questa campagna dell’antipolitica, dell’antipartitismo. C’è stata come una caduta d’autonomia ed una soggezione ideologica di questa parte della sinistra all’antipolitica. Invece che combatterla si è preferito rifugiarsi in modo difensivo, nel radicalismo/purismo, nell’antisistema, in un rifiuto testimoniale e autoreferenziale della propria identità ideale. Si è contrapposta una società civile, pura e ideale, al sistema politico ed istituzionale, ritenuto intriso di compromessi con il territorio e per questo, l’ostacolo maggiore all’affermarsi di una società ideale e perfetta. Si è attribuita impropriamente una carica radicale e antagonistica ai movimenti ed a nuove soggettività, contrapponendoli in modo frontale ai partiti ed alle istituzioni, cadendo spesso in una sorta di populismo e demagogia di “sinistra”, con posizioni che la estraniavano dalla lotta politica. Oggi è possibile riprendere un nuovo cammino, restituendo alla politica la forza e la dignità che merita, riempiendola sia di contenuti, ma innanzitutto dell’impegno attivo delle persone. La risposta migliore a questa nuova domanda d’impegno politico è sconfiggere definitivamente questa cultura dell’antipolitica, del disimpegno militante, della rinuncia ad operare e partecipare. Le primarie hanno espresso al meglio questa domanda di politica nuova, di partecipazione, di sintesi e d’unità, per superare frammentazione e per ridare fiducia nella possibilità di cambiare. Il progetto c’è, necessità farlo camminare sulle spalle e nelle menti delle persone.


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