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A Sciambere: Segnali di Fumo

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : lunedì, 31 marzo 2003

Ne abbiamo sentita una niente male, relativa ad una giusta reprimenda fatta da un custode ad un adolescente che svaporava nei dipressi scolastici: “Sei sempre a fuma’ .. poi dalle sigarette si passa agli spinelli, e dagli spinelli si passa alle canne!!” Forse il nostro pensava che fosse questione di dosi, che tra spinello e canna ci fosse la stessa differenza che passa tra un quasi innocente “topino” di vino da 120 cl scarsi e la decisamente più impegnativa “natta”, contenitore vitreo che da solo supera il quarto di litro, definito nella parlata locale con il termine minimizzatorio e vezzoso di “quartuccio”, da cui la definizione di “quartucciaio” data a chi eccedeva nelle libagioni, così come il soprannome affibbiato al compianto Don Ferruccio, persona intelligente e piena di umanità che però non disdegnava talvolta (spesso) un buon bicchiere di vino, e per questo era chiamato, da quelle giovani merde che impazzavano nella Portoferraio di una quarantina d’anni fa, “Don Quartuccio”. Ma ci siamo persi in questa “cattiva” digressione enologica (No Assessore, contro la cattiva digressione il bicarbonato non serve) perdendo di vista lo spunto iniziale: il fumo, torniamo quindi a bomba. Orbene, l’altro giorno, vedendo i cani antidroga della Finanza che facevano la loro dimostrazione cercando dell’hashish finto alle Medie, prima che i medesimi, portati casualmente a pisciare alle Ghiaie, non puntassero direttamente le mutande foderate di fumo vero d’un torzoletto di passaggio, ci era venuta voglia di chiedere in prestito una di quelle sagaci bestie. Se ci avessero temporaneamente affidato uno di quei cani l’avremmo usato per fargli annusare il nostro televisore durante la trasmissione di quel “coso” che ci hanno spiegato successivamente essere nelle intenzioni uno spot promozionale dell’Isola d’Elba, che termina con una inquietante zoommata su un Napoleone ceramico di rara bruttezza. Avendo sentito parlare nel medesimo di “cielo turchese”, dopo aver interpellato autorità cromatiche, esperti meteo, e linguisti e raccolto conferme che un cielo turchese “non datur”, tenendo altresì conto che le sostanze psicotrope possono portare ad una alterata percezione dei colori (un cielo turchese è logico come un Teodolindo lilla), volevamo vedere se i cani puntavano il televisore, per capire se ci poteva essere una spiegazione alternativa alla caprina desuetudine dell’uso della lingua italiana. Eh sì, avevamo deciso di non parlarne del "coso" ma quel cielo turchese anzi turchèse come èlba con la "e" aperta alla brianzola, era una vile provocazione.