“Il problema drammatico di oggi non è tanto che ci siano politici che abbiano rapporti con la dimensione degli affari. Il problema è che non ci sono politici. Non c´è strategia politica, o è debolissima. Il problema non è una crisi morale. Parlare di questione morale è un modo sbagliatissimo di impostare il problema. È la questione politica che conta: c´è un vuoto di progettualità politica spaventoso, e da molti anni”. Questa affermazione di Massimo Cacciari in un’intervista alla Repubblica di oggi coglie il nodo di un problema che riguarda da vicino anche le vicende della nostra isola, fino alle probabili cause dell’incendio di Portoferraio. Quando si arriva a parlare di ‘questione morale’ vuol dire che la politica ha fallito: la corruzione, infatti, o i mille volti del malaffare non sono una degenerazione della politica, ma la conseguenza della sua uscita di scena, della sua rinuncia a guidare la società abbandonandola a se stessa e alle sue molte debolezze, fino alla delinquenza di persone o di gruppi. Il “vuoto di progettualità politica spaventoso” di cui dice Cacciari ha lasciato il campo libero all’invadenza onnipotente del mercato, divenuto cultura diffusa e in sé conclusa: il fine del mercato è il mercato. La cosiddetta morte delle ideologie, salutata forse un po’ frettolosamente con tanto trionfalismo, ha finito per decontestualizzare ogni tensione etica, costringendola nell’ultima trincea della questione morale, della ‘legalità’. Il ‘mercato’, con il suo principale paradigma che è il successo, è divenuto sinonimo di modernità; per contro, ogni riferimento a regole etiche, a norme di significato generale, alle norme fondamentali della società, ha finito per assumere il carattere del vecchio, dello stantio, dell’antiquato. Un’euforia insensata si è diffusa, e ha scatenato una competizione alla ricerca del successo e del consenso fondato sul successo. “Da quando la prima repubblica è collassata, questo vuoto è stato rattoppato da ideologie populistiche e dal più colossale conflitto di interessi della storia politica occidentale da parte della destra”, dice ancora Cacciari. La sinistra, da parte sua, è stata incapace di portare la competizione sul piano che le è proprio, quello dei valori condivisi della sua tradizione: della giustizia sociale realizzata attraverso un modello di sviluppo alternativo, della pace senza schieramenti e senza contropartite, della solidarietà con i poveri della terra attuata attraverso la giustizia sociale e la pace. Così, mentre le élites di destra e di sinistra si misuravano nell’agone del successo –sintomatica è stata la corsa in velocità per l’acquisto delle banche negli ultimi mesi–, ai livelli progressivamente meno elevati la gara ha riguardato gli affari più o meno piccoli della periferia del mercato, per raggiungere un successo magari più contenuto, a dimensione locale, ma che comunque legato a interessi personali o al più della lobby di appartenenza (a livello giovanile i modelli proposti sono ancora quelli del successo rappresentato dalla possibilità di apparire sui media –veline, letterine, grandi fratelli, isole, talpe, farm ecc.– peraltro non disdegnato neppure dagli adulti delle istituzioni, anche di sinistra; ma almeno i giovani sanno che per il momento tutto è ancora un gioco, e tutto per loro è ancora in gioco). La questione morale si occupa dei sintomi, non della malattia; la legalità interviene quando è già stata violata la legge. Ma è solo la politica che può salvare la società dalla barbarie della guerra di tutti contro tutti: la politica che progetta, che disegna uno sviluppo nel lungo periodo, capace di conservare le risorse e di rinnovarle; che garantisce a tutti condizioni progressivamente accettabili di vita attraverso la condivisione delle risorse disponibili; che elimina le differenze nei diritti, per valorizzare la diversità delle qualità. Se una comunità cammina verso grandi obiettivi condivisi, allora è anche in grado di controllare sul nascere ogni deviazione, è in grado di proteggere con una cintura di solidarietà ogni suo membro contro la violenza, contro l’inganno, contro la disperazione. Ma soprattutto è in grado di dare un orientamento e un significato alla vita di ciascuno e di tutti. Nel grande e nel piccolo, a dimensione nazionale o a dimensione locale, resta questa, mi pare l’unica strada. È il senso della conclusione di Cacciari: “Se la sinistra avesse una visione sobria e disincantata dei rapporti fra politica ed economia, segnerebbe la propria identità in modo ancora più netto rispetto a un demagogo populista come Berlusconi. Se la sinistra avesse fatto in questi anni un discorso coerente in materia di riforma <…>, certamente avrebbe segnato la propria diversità. Non la si segna dicendo "io sono per la morale", ma facendo una politica diversa da quella di Berlusconi. Una politica progettualmente forte si distingue, e vuol essere autonoma rispetto ai poteri economico-finanziari. Una politica debole sarà sempre sopraffatta da questi poteri”.
Foglie rosse rudere novembre