Lo ammettiamo subito: non siamo andati a votare per le primarie. E semplicemente perché non ci abbiamo creduto fin da subito. Non tanto allo strumento, sia chiaro, quanto per il suo carattere "all'italiana", da spaghetti-primarie, come le ha definite qualcuno. Eravamo nella stessa corrente di pensiero di Rossana Rossanda: perché ridurre tutto a uno scontro nominalistico e non programmatico. E' vero che ogni candidato portava una sua visione, cultura ed esperienza politica, alcune anche molto diverse tra loro, ma ciò si è ridotto quasi a sottigliezza. Ed è questo lo sbaglio di fondo, a nostro parere. Ma è il programma di governo l'unica cartina di tornasole per il futuro. Il leader è solo un'espressione di esso. Questo era l'ottimo insegnamento della vecchia politica, della quale oggi quasi si ride. Con l'approccio contrario si è presentato Berlusconi, rivoluzionando in peggio lo scenario italiano, ma anche con gli effetti che oggi vediamo. E' questa la ragione principale per cui le primarie non ci hanno convinto, anche più dell'esito scontato che ci avrebbero riservato: l'avallo di una cosa serissima come il programma, pur sapendo che esso ancora non esiste. In pratica, una cambiale in bianco. Qui sta il nodo cruciale del futuro del paese, tanto più nel momento in cui le scelte devono essere chiare a fronte di una situazione interna ed estera complicata. Gli elettori che sono andati a votare, ma soprattutto la maggioranza che non ha aderito e sarà decisiva per l'affermazione vera, non si accontentano più di vedere di un balletto sul ritiro delle truppe dall' Iraq, sulla precarietà sui luoghi di lavoro, sulle ricette per una ripresa economica e quant'altro. Questa parte della popolazione vuole una posizione alternativa a quella del centrodestra e non di semplice alternanza. E' vero che dall'elettorato di centrosinistra viene anche una richiesta di coesione, di un segnale forte per (una leadership sicura) e contro (l'attuale governo), una voglia di partecipazione. Ma onestamente per tutto questo non occorreva una consultazione del genere. E' ormai da quattro anni che questi segnali ci giungono, e bastava semplicemente tastare il polso alla società per accorgersene, ascoltandola nelle piazze e nelle strade, anziché bazzicare ridicoli salotti televisivi, come è d'obbligo fare adesso. Ma dal momento in cui il collante delle varie anime della coalizione, l' antiberlusconismo, verrà meno dopo la probabile vittoria elettorale, cosa resterà senza una base programmatica chiara? A che serve una vittoria elettorale se è seguita da una scialba (o peggio deficitaria) legislatura? Non sottovalutiamo assolutamente la grande partecipazione di oltre quattro milioni di votanti, né men che meno ci sogniamo di sminuire l'esperimento o ridurlo a un semplice sondaggio d'opinione come hanno fatto molti a destra (anzi, abbiamo assistito con sadico piacere a un Berlusconi visibilmente in imbarazzo davanti le telecamere balbettare confusamente a chi gli chiedeva un parere sulle primarie). Ma allo stato attuale le vediamo sì come qualcosa da ricordare, ma come primo passo per la costruzione di un soggetto coeso veramente alternativo e non come strombazzata svolta epocale. Soprattutto non le vorremmo ricordare come un paravento del nulla. A quel punto sicuramente a una risposta della politica corrisponderà un consenso pieno della base.
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