Abbiamo assistito in silenzio allo scempio, un minimo scempio non sappiamo da chi disposto, forse da un capocondomino democraticamente eletto, forse da due condomini nei giardini dei quali i due vecchi ulivi scaricavano ogni anno quelle che una volta erano preziose ulive e che sono diventate per l’umanità ricca e pigra del nostro paese solo fastidiosa sporcizia, forse ancora da altri. Ma in fondo non ci interessa a chi appartenga l’ignoranza di chi ha armato la motosega che in pochi minuti ha cancellato dalla crosta terrestre due ulivi che continuavano, nonostante l’incuria degli uomini, dopo molti anni, (70/80 forse più, chissà?) a mettere fronde e frutti, non ci va di coltivare altri rancori. Abbiamo visto un ometto maneggiare fiero e disinvolto la potente arma scoppiettante che ha tagliato a fette quel legno duro e compatto d’ulivo, un legno splendido ci diceva Pino che trae figure ed anime dal legno, se ne possono cavare oggetti molto belli ed utili perché l’ulivo è una pianta generosa anche quando muore. E vedendo quelle trance di legno abbiamo sperato per un po’ che almeno qualcuno le prendesse e le conservasse per la stagionatura, ma poi abbiamo visto i due ulivi, che per sedici anni hanno fruttificato lentamente sotto i nostri occhi, gettati a pezzi alla rinfusa insieme alle ramaglie del grande pino potato davanti a casa nostra, sul cassone di un camion. Quella povera ricchezza dovrà “essere smaltita”. Il mattino seguente ci siamo affacciati al balcone ed abbiamo visto un paesaggio privo di due componenti fondamentali, non c’erano più i rami biforcuti dove si posavano gatti pigri, un paesaggio modernamento impoverito. E’ allora che abbiamo capito che c’era un nesso tra l’ulivicidio di Val di Denari ed il massacro dei Pini di Via Ninci, identica manifestazione di una pochezza di spirito del un gusto orrendo che mette insieme la voglia di pratino all’inglese e di Yukka, dei palmizi che non fruttificheranno mai a questa latitudine, della vegetazione ridotta all’essenziale, dell’orrore degli alberi che sporchino il cemento, di un mondo calvo, freddo, pelato, contornato di campi pettinati all’umberta con alberi obbedienti dritti ed allineati e coperti come schiere di soldati, e domani con il “progresso” prati e alberi di plastica, igienici e sempre uguali che magari celino all’interno preziose antenne per telefonia. Chi se ne fotte degli ulivi? l’olio per noi ci penseranno altri a farlo. Chi se ne fotte dei pini? Sporcano le nostre preziose auto, non sono degni di vivere. A qualcuno parrà forzato, ma a noi pare ci sia un nesso tra queste violenze domestiche e la incolta prepotenza di amministratori che pretendono di “riformare” la natura e l’ambiente (qualcosa di enormemente più importante ed intelligente di loro). La prossima volta che li sentiremo pontificare, straparlare sulla violenza dei giovani gli diremo: “Chetatevi, siete voi il seme della violenza!”
ulivo uliveto