Carlo Rizzoli dei Verdi dell'Arcipelago Toscano ci ha fatto pervenire il testo di una interrogazione presentata nel Luglio 2005 al Ministro dei Beni Culturali dal Senatore Stefano Boco del gruppo dei Verdi sulla vicenda del recupero del Polluce, di cui abbiamo trattato negli ultimi giorni: Al Ministro per i beni e le attività culturali. - Premesso: che fu segnalata più di un anno fa anche con interrogazioni parlamentari una deplorevole serie di mancanze e di distrazioni sul trafugamento e l’inerzia nel recuperare un tesoro di ingenti proporzioni; che mai nella storia del nostro Paese un tesoro così grande è stato trafugato dal mare, come purtroppo è avvenuto per opera di avventurieri stranieri, in uno specchio di mare poco distante dalla costa sud dell’isola d’Elba, proprio davanti alla leggendaria isola di Montecristo; che non si tratta questa volta di un tesoro della realtà romanzesca di Dumas, ma di un autentico patrimonio paragonabile, per la sua consistenza, a quello del noto Conte di Montecristo, custodito nel relitto del piroscafo “Polluce” della compagnia De Luchi e Rubattino di Genova, affondato nel 1841 al largo di Capo Calvo (Capoliveri) mentre trasportava 100 mila monete d'oro, 70 mila d'argento, centinaia di oggetti lavorati in oro e migliaia di pietre preziose, molte delle quali incastonate in preziosi gioielli, e altro ancora; che oltre a quanto sopra elencato vi erano i valori di bordo che lo stesso "Polluce", nave di lusso a tecnologia avanzata della flotta genovese, sicuramente possedeva, e quelli personali di circa cinquanta personaggi dell’aristocrazia dell’epoca che viaggiavano sul piroscafo la notte del suo affondamento; che il trafugamento del tesoro avvenne a circa cento metri di profondità con l’ausilio di un mezzo navale, affittato a Genova e dotato di benna, e con la tecnica dello squasso e dello strappamento del fasciame di legno da quello in ferro: a quanto risulta allo scrivente, il cosiddetto “recupero” effettuato in maniera così grossolana comportò la dispersione di parte dei valori custoditi nel "Polluce"; che se non fosse stato per un lavoro di intelligence fra Scotland Yard e il nostro Nucleo Tutela Patrimonio Artistico dell'Arma, che offrì la possibilità di intervenire su una strana asta londinese con la refurtiva del trafugamento avvenuto all’isola d’Elba, le nostre Autorità amministrative, all’oscuro di tutto, non avrebbero recuperato neppure quel lacerto di tesoro che è stato recuperato; che un'altra parte dello stesso tesoro si trova ora presumibilmente disseminata nel mare intorno al relitto, e un'altra parte ancora si suppone sia sfuggita all'opera della benna nelle zone della stiva protette da parti metalliche; che l’interrogante è venuto a conoscenza che la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana (SBAT) aveva concesso ai suddetti avventurieri stranieri l’autorizzazione a recuperare nel mare dell’isola d’Elba il piroscafo "Glenlogan", notoriamente affondato nel 1916 a ben 600 km di distanza e a circa 1000 metri di profondità (canyon dell’isola di Stromboli), senza alcuna verifica sulla posizione geografica dello stesso Glenlogan, che pure per cronologia (1916) e ubicazione (fondo del mare ) ricadeva nella sfera di pertinenza della legge n. 1089 del 1939; che la medesima Soprintendenza non aveva frapposto al progetto alcuna condizione o divieto, nonostante la Capitaneria di Porto di Portoferraio le avesse inviato in tempo utile copia della pratica relativa al recupero, con la specifica richiesta di far pervenire eventuali pareri o prescrizioni di competenza; che ciò rendeva possibile, fra il 27 gennaio 2000 e il 15 marzo 2000, che gli avventurieri inglesi, dopo aver affittato a Genova un rimorchiatore munito di una potente gru, si piazzassero sulla perpendicolare del "Polluce", calassero la benna a 103 metri di profondità, squartassero il relitto del "Polluce", razziassero indisturbati l’immenso tesoro e, altrettanto indisturbati, lo trasferissero in Gran Bretagna; che ora che in troppi sanno dove trovare un bene appartenente allo Stato, trattato di fatto come res nullius, diventa sempre più alto il timore che alla beffa del furto clamoroso subito dall’Italia, possa aggiungersi un ulteriore danno derivante da nuove attività di saccheggio; che risulta all'interrogante che la Soprintendenza avrebbe preparato un contratto con una società privata, la quale subappalterebbe a una ditta di lavori subacquei di Ravenna il recupero sic et simpliciter del carico superstite del "Polluce", ottenendo in cambio la restituzione allo Stato dopo un più o meno congruo numero di anni, di ciò che figurerebbe essere stato recuperato; che a questo punto si può ben immaginare con quanto scrupolo di catalogazione inventariale una società privata sia capace di operare sui preziosi recuperati: diamante per diamante, smeraldo per smeraldo, collana per collana, monete d’oro una sull’altra e tutti gli altri gioielli che saranno raccolti con la meticolosa precisione disinteressata di chi opera autonomamente sul fondo del mare; che i reperti così rinvenuti verrebbero dati in concessione temporanea (con la inevitabile serie dei rinnovi) alla ditta aggiudicataria del recupero che allestirebbe, anche con i preziosi restituiti dall’Inghilterra all’Italia nel 2003, una sorta di museo itinerante, privando sia la Toscana sia l’isola d’Elba di uno dei più suggestivi musei stabili contenenti ciò che da sempre maggiormente colpisce l’interesse generale; che il "Polluce" che con questa operazione in fieri sarebbe ulteriormente sventrato e infine abbandonato nel fondo del mare, rappresenta un retaggio storico di suggestiva rilevanza emblematica, da conservare e restaurare anche pezzo a pezzo, per la storia del Risorgimento italiano in virtù del contributo nazionale e internazionale ai moti mazziniani degli anni ‘40 di due secoli fa; che risulta all'interrogante che l’iniziativa contrattuale del recupero, approntata in queste settimane a ridosso delle ferie estive, con modalità di riservatezza e con una evidente liberalità, che rischia di essere dannosa, a favore di privati, sarebbe scaturita dalla “povertà” delle casse della Soprintendenza, impossibilitata a far fronte alle spese per il recupero dei beni in questione in nome e per conto dello Stato; che a parere dell'interrogante, per un recupero di questo genere la Soprintendenza non avrebbe neppure bisogno di sponsor esterni, poiché per disporre di alcuni validi subacquei con le idonee dotazioni strumentali e in grado di rastrellare in ragionevole tempo la zona di fondo interessata, la spesa necessaria sarebbe probabilmente inferiore al valore di una sola collana rinvenuta durante i lavori; che anche le Procure della Corte dei Conti del Lazio e della Toscana sono state interessate a seguito di relativi esposti, al danno patrimoniale subito dall’Italia, ma le Procure possono intervenire solamente a danno consolidato, per l’addebito delle responsabilità patrimoniali, nulla possono per prevenire la ripetizione dei fatti, si chiede di sapere: se non si ritenga, considerando che il "Polluce" conteneva il più grande tesoro di tutti i tempi affondato nel Mediterraneo, che anziché tentare l’avventura di un recupero subacqueo con una strana commistione di appalto e di subappalto, sia doveroso, nell’interesse della riuscita dell’operazione e della trasparenza contrattuale, indire una gara internazionale, e non solo europea, per il recupero sistematico di tutto ciò che è rimasto del "Polluce" e del suo carico; se sia intenzione del Ministro in indirizzo verificare quanto sopra descritto, e accertare modalità e procedure di questa sorta di “trattiva privata”, nonché spiegare quale sia la ratio della scelta di un recupero parziale, visto che si sventra ulteriormente la nave che viene poi abbandonata, e superficiale, visto che si procederebbe a una sorta di rastrellamento dei fondali, probabilmente randomico; se l’improvvisa fretta di procedere ora al recupero di quanto possa trovarsi dei preziosi del "Polluce", non rischi di apparire come il tentativo di voler commistionare le responsabilità relative a ciò che è avvenuto in passato con i presunti meriti che deriverebbero dallo stesso recupero; se non si reputi che proprio per la garanzia del miglior successo dell’operazione, prima dell’aggiudicazione sia doveroso interpellare sulle modalità operative e contrattuali sopraindicate almeno un docente di archeologia subacquea, come di validi se ne trovano nelle Università italiane; se non si ritenga che, dopo i danni arrecati al patrimonio storico-archeologico del nostro Paese, il fallimento anche parziale di questa operazione implicherebbe, per la consapevolezza del prevedibile rischio di insuccesso, ulteriori responsabilità patrimoniali che poi di fatto nessuno sarebbe in grado di rimborsare allo Stato.
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