Al di qua e al di là del canale, si continua a gridare allo scandalo contro qualsiasi ipotesi di una tassa d’imbarco al porto di Piombino, giudicata dai più come una gabella medioevale che scoraggerebbe i traffici già duramente colpiti dalla crisi economica. Chi si straccia le vesti in difesa delle tasche della gente stremata dal carovita, ignora o finge di ignorare gli alti costi provocati dai cronici disservizi sulle due sponde del mare. Da una parte, le code interminabili lungo la ragnatela stradale della città portuale, i trasporti pubblici fantasma con treni, bus e traghetti che viaggiano senza incontrarsi mai, lo scalo marittimo eterna opera incompiuta. Sull’altro versante del mare, le massicce invasioni d’agosto mettono alle corde l’isola ai limiti della vivibilità: il traffico impazzisce, i parcheggi scoppiano, l’acqua è razionata, le fognature e i rari depuratori vanno in tilt, i rifiuti si accumulano a montagne, nelle strade si diffondono i cattivi odori, il mare pulito diventa un’utopia, i porticcioli sovraffollati di natanti rischiano di affondare ecc. ecc. In questi condizioni, il rapporto qualità/prezzi, già fragile di per sé, salta in aria, mentre l’economia del sommerso e le false promesse degli affitti in nero alterano il mercato della ricettività, strangolano il sistema alberghiero e assestano altri duri colpi all’immagine dell’Elba. Cinquanta anni di turismo sembrano trascorsi invano, o, al peggio, sembrano aver suscitato solo illusioni di facili guadagni. La cultura dell’accoglienza e dell’ospitalità stenta a crescere, stretta come è nella morsa dei campanilismi e nelle maglie di una polverizzazione delle competenze e delle responsabilità. Peraltro, fatalismo e naturale vocazione isolana alle solitudini invernali liquidano le crisi esistenziali dell’estate come un male inevitabile ma passeggero (venti giorni passano presto!, così si incoraggiano gli uni con gli altri a sopportare il peggio), per il quale sembra non valga la pena sprecare risorse ed energie. Eppure molti sono consapevoli che se si facesse un sondaggio agli imbarchi di Piombino, si scoprirebbe che i turisti, specie i più affezionati all’Elba, pagherebbero senza batter ciglio un ticket in cambio della garanzia di servizi migliori e di una vacanza senza la nevrosi dei tanti disagi. In realtà, le più strenue contestazioni contro la tassa d’imbarco si levano tra coloro che temono di perdere le redini degli interessi da una riorganizzazione consortile delle casse, e in particolare delle entrate straordinarie versate dai turisti e destinate a realizzare opere di duratura utilità pubblica e in tempi meno biblici di oggi. La natura dell’Elba, la sua storia, le sue bellezze, l’armonica convivenza di mare-monte-boschi, non hanno uguali. Al paragone, la tanto osannata isola di Ischia fatica a starle dietro. L’isola di Venere perde nettamente il confronto nelle classifiche turistiche. Ischia non è più grande dell’anello occidentale elbano ed è fortemente inurbata (60mila abitanti). L’avvantaggiano la vicinanza di Napoli e la rete di acque termali, tuttavia anche la sua stagione dura da Pasqua ad ottobre. D’inverno, chiude i battenti e si isola come l’Elba. Le cifre delle sua ricettività e delle sue attrezzature sono impressionanti e l’industriosità della sua gente è proverbiale: 310 alberghi; 400 fra taxi e minitaxi; bus in partenza ogni dieci minuti per tutte le destinazioni, negozi aperti giorno e notte: risultato, ogni anno tre milioni di presenze alberghiere di cui un milione di stranieri, nonchè un milione e mezzo di presenze extralberghiere di cui 100 mila di stranieri.
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