Terzo premio a Angelo Neirotti La letterina di Natale Se ripenso ai giorni di quel lontano dicembre del 1963, li vedo vestiti di neve: tanta neve. I negozianti, gli stradini, gli spalatori “a giornata” del comune, per liberare marciapiedi e sede stradale, ne facevano altri mucchi. Così i tram sferraglianti, dalle piccole carrozze, le poche auto, i molti carri, si trovavano a procedere tra due muri bianchi che li rendevano quasi invisibili a chi camminava rasente le case, attento a non scivolare…. Io abbassavo un po’ la sciarpa per annusare il profumo, così indefinibile, della neve: pareva più intenso in quelle ore, ancora buie, del mattino. La cartella sulle spalle, la mano stretta in quella calda della mamma, ed entrambe infilate nella tasca del cappotto di lei, cercavo di passare dove il manto bianco era ancora intatto: mi piaceva lasciarvi l’impronta degli scarponcini… Ed intanto rispondevo (era un po’ il nostro gioco) alle sue domande: “tre per sei?” “diciotto” “più due? Diviso quattro? Per dieci?” La risposta era sempre immediata e lei ne era contenta. Ma quando giungevamo nei pressi del Lungodora Napoli, diventavo distratto. A quel punto la fila di caseggiati di Corso Giulio Cesare si interrompeva per lasciare posto ad un vuoto che a me pareva immenso, e la cui tragicità neanche il candore delle neve misericordiosa riusciva ad attenuare… Dal vuoto si ergevano muri sbrecciati, resto di scale e pianerottoli, pareti variamente intonacate di quelle che erano state abitazioni. Chi aveva abitato quelle case? Famiglie felici, amavo pensare… che ne era stato di loro? Dei bambini che avevano riempito dei loro giochi e delle loro risate i cortili? Sapevo, per averlo sentito dai racconti dei grandi, che i gemiti e le urla di coloro che erano rimasti sepolti sotto le macerie, dopo il terribile bombardamento, si erano sentiti per giorni. “Adesso sono in paradiso” diceva la mamma e intuendo la mia tristezza e la mia paura che tanto orrore potesse ripetersi, mi stringeva più forte la mano. Oltrepassato il ponte mosca, scendevamo verso via La Salle: già un mondo diverso….case basse, androni bui, pochi negozietti angusti, scarsi lampioni dalla luce fioca creavano pozze lievemente dorate sulla neve violetta. Una Torino vicina, e così simile a quella in cui De Amicis aveva ambientato il suo “Cuore”. “Mamma, e se comprassimo un pennino nuovo?” L’occasione lo richiedeva: come si poteva scrivere una letterina di Natale senza un pennino nuovo, ben appuntito? “Magari un corona o un La mola e una carta assorbente?” Mamma sorrideva ed entravamo nella minuscola cartoleria, sogno di tutti gli allievi e allieve della “scuola elementare parificata Vittorio Amedeo ll, legalmente riconosciuta”…ne uscivo felice… Dalle vie vicine buffe sagome imbacuccate giungevano alcuni compagni: Aldo, Mario con le guance rosse per il clima, che rendeva i visi allegri simili a delle mele…Un bacio alle mamme e sparivano nel portoncino di via Porporati, ingresso riservato ai bambini. Nella scuola regnava il silenzio e tutte le aule erano ancora buie: perché solo la nostra maestra ci chiedeva di andare a scuola con un’ora di anticipo sull’orario solito, per poter lavorare con calma alla preparazione della letterina. Suor Maria Carla, origini nobili, lineamenti da cammeo, modi dolcissimi, ci accoglieva nel calore buono dell’aula, emozionantissimi, attendevamo la distribuzione di cartoncini, fogli, immaginette…avevo colorato con cura, nei giorni precedenti, le rose canine ed il piccolo paesaggio in basso, attento a scegliere le matite adatte, a non uscire dai contorni: ero molto orgoglioso del risultato…..Con lo stesso impegno scrissi sotto dettatura il contenuto della letterina…Lo rileggo, oggi, con tenerezza infinita: le frasi mi sembrano decisamente ampollose, improbabili come parto letterario di bambini che avevano iniziato da pochi mesi a frequentare la seconda elementare ma, allora, quel “bambinello vezzoso” mi sembrava il massimo della raffinatezza e mi piaceva immaginare la gioia di papà quando il 25 dicembre avrebbe trovato sotto il tovagliolo il mio capolavoro. Anni dopo, giovani genitori, ricevemmo Gigliola ed io la prima letterina natalizia di Erik. Sgorbietti minuscoli, al limite dell’invisibile e buffissimi! Stavano a rappresentare la sacra famiglia, l’asino e il bue. Una semisfera li proteggeva: era la capanna, naturalmente….Sul tetto brillava una stella sbilenca, interpretazione del tutto personale della cometa….Sintetico il messaggio augurale: “Ai miei genitori, Buon Natale!! Che Gesù Bambino porti tanta gioia nei vostri cuori! Erik.” Confesso che, più che commuovermi, mi divertii e subito mi tornò alla mente suor Maria Carla: sarebbe sicuramente inorridita ! A Natale, come amo fare da quando l’ho ritrovata, metterò la mia letterina un po’ ingiallita dal tempo davanti alla foto dei miei genitori: e sarà, ancora una volta, quel dicembre del 1963.