Le parole hanno un significato: occorre non usarle in modo improprio. Potremmo anche dire che ci è dispiaciuto leggere quanto riportato relativamente al progetto del fosso delle Conce/Cavallacce e del Caubbio, ma questo non è importante al fine dei chiarimenti che riteniamo indispensabile fornire sia a Legambiente, che firma l’articolo, sia ai cittadini di Capoliveri che hanno il diritto di sapere come viene speso il denaro dello Stato e quali provvedimenti vengono presi per tutelare la loro incolumità e la bellezza del paesaggio. Cominciamo con l’affermare che da diversi anni la strada di uscita da Naregno percorre abusivamente il fosso delle Conce che è stato, dalla precedente amministrazione e in contrasto con la minoranza di quei tempi, asfaltato, dotato di cartelli stradali indicatori, di fossi rallentatraffico, di strisce pedonali. Su questo fosso sono aperti gli accessi a diverse abitazioni e ad attività produttive che, ora più che mai (volendo essere delicati nelle affermazioni) non possono più essere lasciati in funzione perché, come è successo il 4 settembre 2002 (v. foto di Legambiente) ma ancora più gravemente nell’agosto del 1983, potrebbero nuovamente provocare pericolosi allagamenti in tutto il territorio circostante, mettendo a repentaglio la salute della gente e il patrimonio immobiliare della località. Il progetto redatto è stato portato avanti dall’Amministrazione e dai professionisti incaricati coinvolgendo tutti gli interessati in numerose riunioni collettive e in altrettanti colloqui a piccoli gruppi e tenendo conto delle indicazioni preventive della maggior parte degli Enti che devono dare il parere sull’intervento: sicuramente il cammino non è stato facile né indolore, ma nell’ultima riunione, tenutasi negli uffici dell’amministratore di un condominio interessato dall’intervento, si era arrivati ad una accettazione pressoché totale, anche se comprensibilmente non entusiastica visto che sono in ballo espropri di terreni privati. La soluzione finale non è una pista da bob. E’ un fosso messo in sicurezza che mano a mano che si allontana dalla spiaggia scende di altezza rispetto all’attuale piano di calpestio fino a fluire circa 1 metro e mezzo più in basso dell’odierno piano di scorrimento: il che fa sì che gli indispensabili muri che sostituiranno vecchie recinzioni metalliche e muretti in bozze non intonacate, saranno appositamente costruiti a sassi a vista e che, anche se in prossimità dell’arenile risultano ben visibili, scendono gradatamente di altezza relativamente al paesaggio circostante. Nell’ultima parte del fosso è, sotto tutti i punti di vista, auspicabile che l’acqua corra veloce, senza tentennamenti, verso il mare. In questo modo la località sarà in sicurezza e si potranno anche togliere quei vincoli di inedificabilità che ora bloccano qualunque intervento che non sia di manutenzione ordinaria. Arriviamo ora alla strada. Si passa da una situazione di abuso e di precarietà (visto che quella che chiamiamo strada non risulta esserlo in nessun documento ufficiale del Comune) ad una situazione di miglioramento urbanistico. A fianco del fosso si traccia una strada ad una corsia che permetta l’accesso alle abitazioni e alle attività, come avveniva, ma abusivamente, negli ultimi anni: questa viabilità si collegherà ufficialmente a quella strada nuova a due corsie che porta a monte di Naregno e che finora non ha avuto un utilizzo adeguato a quanto invece è costata alle nostre casse comunali, bypassando inoltre anche lo stretto bivio dell’Hotel Elba International. Quello che viene chiamato ponte è ponte solo se lo si guarda dal basso del fosso: infatti la strada corre sempre sul terreno e si alza, per passare al di là del fosso, solo di 70 cm rispetto alla quota attuale del parcheggio dell’Hotel Le Acacie. Con questo non si vuole portare più macchine a Naregno, ma si vuole permettere l’accesso agli immobili che già esistono e garantire una viabilità di uscita efficace: sicuramente non vogliamo costruire una strada sopraelevata. Inoltre la nostra amministrazione non ha costruito una strada parallela all’arenile, ma l’ha già trovata così e si è limitata a rispondere alle richieste di molti cittadini che non apprezzavano il carattere privatistico che aveva assunto la spiaggia negli ultimi due o tre anni. E’ sicuramente auspicabile creare un’isola pedonale a Naregno, e anche in tante altre spiagge, ma occorre essere sicuri di non penalizzare nessuno e di garantire a tutti uguali opportunità. Anche noi crediamo che “ quella di Naregno è un’area che avrebbe bisogno di essere rinaturalizzata, riportando la strada alla sua funzione di fosso e liberandola da asfalto e cemento” e crediamo di aver “creato una viabilità alternativa ….per raccordarsi a percorsi già esistenti….”. Ma soprattutto compito dell’Amministrazione è rispondere correttamente all’Ordinanza del Presidente del Consiglio n° 3276 del 28 marzo 2003 e alla D.G.R 830 del 4 agosto 2003 per la messa in sicurezza dei fossi, delle località, delle persone. E’ quanto si è cercato di fare anche per il fosso del Caubbio. La mancanza di informazioni complete talvolta può portare ad esprimere inesattezze che privano ragionamenti anche virtuosi delle necessarie basi che li renderebbero legittimi: si leggono infatti molte affermazioni del tutto condivisibili che però non hanno i presupposti tecnici e di conoscenza dei percorsi che portano ad assumere decisioni che, a volte, possono sembrare non ottimali e, comunque, discutibili. Riguardo ai commenti relativi alla sistemazione del fosso Caubbio, sia a monte che a valle, si "denuncia" una scarsa attenzione agli aspetti paesaggistici e ambientali sottolineando la differenza di tipologia delle opere fra "fuori del parco" e dentro il parco. C'è una inesattezza di base: si dice, ad un certo punto, che "il Parco ha imposto che i lavori venissero eseguiti soprattutto attraverso opere di bioingegneria, per evitare che cementificazioni così imponenti stravolgessero l’equilibrio ambientale e paesaggistico della zona". Questa affermazione non corrisponde a verità: infatti l'adozione di interventi di ingegneria naturalistica nelle zone del bacino che avevano originato le frane, che poi si sono riversate sul fondo valle talvolta cancellando gli alvei dei fossi e generando esondazioni diffuse, è stata una scelta dei progettisti condivisa dall’A.C., non una imposizione del Parco, che pure ha contribuito, in questi anni, a questi indirizzi. La scelta dell'ingegneria naturalistica per gli interventi in quelle zone scaturisce dal fatto che il materiale potenzialmente trasportabile a valle si è molto ridotto, proprio perché le frane sono già avvenute. Gli interventi effettuati non servono a sostenere il versante, ormai stabile, ma per consentire la ripresa della vegetazione e della naturale situazione dei luoghi stabilizzando quel sottile strato di terreno vegetale rimasto in loco. La natura farà il resto, come è giusto che sia. I materiali con cui vengono realizzate prevalentemente le opere di ingegneria naturalistica, fra cui spicca la componente in legname, sono di fondamentale importanza per le considerazione sulla idoneità delle opere in certi contesti, sulle effettive possibilità di manutenzione e durabilità delle stesse. Disporre palizzate su terreni boscosi dove si prevede lo sviluppo di piante appare idoneo in quanto, una volta che le opere in legname saranno degradate, la stabilità dell'area sarà garantita dall'attecchimento della vegetazione. Diverso è il discorso per opere che debbano garantire la stabilità e la protezione di sponde di corsi d'acqua dove le velocità in gioco, unite alle quantità di acqua, risultano potenzialmente devastanti e, soprattutto, dove le acque possono fuoriuscire dagli alvei causando danni a cose e persone. E' fuorviante dire che i corsi d'acqua sono più pericolosi nella parte montana laddove le portate (quantità di acqua che defluisce nell'unità di tempo...) sono molto ridotte e, soprattutto, restano confinate all'interno dei compluvi senza, potenzialmente, arrecare alcun danno a persone o cose. Il concetto di pericolosità, quindi, deve essere chiaro. Nelle parti vallive dei corsi d'acqua, dove le pendenze si mantengono comunque elevate, le quantità d'acqua sono notevolmente maggiori perché sono giunti, nelle aste principali, i contributi dei vari affluenti. Quindi l'energia erosiva è maggiore e, se si vuole conservare la stabilità di versanti, sponde, strade, e opere dell'uomo in generale, bisogna intervenire con opere stabili e corpose, oltretutto da eseguire con pietre "locali" cercando di inserirle nella maniera migliore possibile nell'ambiente circostante. Ovviamente, se si vuole. E, comunque, nella sistemazione dei corsi d'acqua, generalmente si deve procedere da valle verso monte (non viceversa) e, per questo motivo, stante il finanziamento disponibile, si è deciso di operare coerentemente con le basilari indicazioni della tecnica di sistemazione di corsi d'acqua, bacini e versanti. Per quanto riguarda poi l'apporto di materiale solido al litorale, non si possono non condividere le affermazioni dell'articolo, salvo il fatto che, come può essere reperito in letteratura, il trasporto può avvenire quando le velocità delle acque siano superiori ad una certa soglia. Ovviamente la velocizzazione delle acque appare non auspicabile se generalizzata e non controllata, ma talvolta, a seconda dei casi, un leggero aumento delle velocità in zone di deposito degli alvei, può consentire sicurezza e garanzia di apporto solido verso il mare. Le briglie realizzate sul fosso del Caubbio, fra cui una briglia "selettiva", fanno sì che il materiale trasportabile verso valle sia contenuto entro dimensioni compatibili con la granulometria del "litorale". In sostanza vengono trattenuti gli elementi di dimensioni maggiori (pericolosi per l'energia che recano) lasciando passare la componente "fine". Questo accorgimento è stato adottato proprio in vista di un regolare apporto di materiale. Quanto poi al rivestimento del fondo "per centinaia di metri" è probabile che chi ha analizzato il progetto abbia strumenti di misura differenti da quelli consueti; in ogni caso il fondo non verrà interamente rivestito e cementato, ma semplicemente rinforzato solo laddove lo si riterrà opportuno in funzione del grado di stabilità, dopo le erosioni causate dall'alluvione e dall'incuria. E' certo che, per la comprovata sensibilità dei progettisti responsabili delle opere, e per l’attenzione degli Enti competenti e, non ultima, dell’A.C., laddove sarà possibile si realizzeranno opere di impatto ambientale il più ridotto possibile, apportando eventualmente anche varianti in corso d'opera: ma solo con la responsabilità di garantire, per prima cosa, la sicurezza di persone e cose evitando che, in un ipotetico nuovo evento alluvionale, si vedano arrivare a valle, oltre che fango e detriti, anche le belle ma inidonee opere realizzate per la messa in sicurezza.
Briano testina