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Coluccia sul Referendum: meglio capire che sentenziare

Scritto da : Elena Maestrini
Pubblicato in data : venerdì, 17 giugno 2005

Non condivido quelle reazioni al risultato del referendum, di chi ha scelto il “si”, che portino all’assunzione di una posizione faziosa e risentita. Pur essendo tra coloro che hanno votato per il “si” preferisco capire cosa è successo. Perché molti cittadini o per astensione consapevole verso questa battaglia o per astensione come disinteresse e lontananza della politica hanno voluto caratterizzare così questo evento. Le sconfitte vanno vissute come una prova non superata, della quale è più utile cercarne le ragioni e le lezioni. Ce ne sono alcune riconducibili alla specificità del tipo di competizione (referendum, istituto logorato) e di argomento (complessità della materia), o la validità politica di una battaglia di questo tipo (il terreno etico chiama in causa la coscienza individuale e le convinzioni culturali e non lo schieramento di appartenenza politica), ma un risultato come questo stimola e deve produrre ben più approfondite considerazioni. Proviamo a mettere in sequenza questo, con altri recenti eventi: il movimento per la pace e no global, le elezioni presidenziali americane, le moltitudini raccoltesi intorno alla morte di Papa Woitila, le elezioni referendarie sulla Costituzione europea in Francia ed in Olanda, il referendum sulla procreazione assistita in Italia. Sono senz’altro segnati da diversità evidenti, per le tematiche specifiche, per i soggetti collettivi, sociali e istituzionali coinvolti, per i luoghi ed i tempi di svolgimento, per gli ambiti e le dimensioni etiche ed ideali diverse. In essi si sono espressi in forme diverse e su questioni diverse, milioni di cittadini che necessita comprendere, poiché in esse si ritrovano istanze, bisogni, necessità, che possono essersi rivelate talvolta anche in chiave “conservatrice” o “ protestataria”, quasi luddista, nel rifiutare l’innovazione e la modernizzazione, ma che non per questo possono essere catalogate come antistoriche e solo rivolte al passato. In tali eventi, al di là delle parti nelle quali ciascuno di noi si è schierato, abbiamo avuto una manifestazione eloquente, per vastità e profondità, di comportamenti sociali, elettorali, culturali e politici, di vaste opinioni pubbliche internazionali e di milioni di cittadini e persone in carne ed ossa. Compito della politica e della cultura, di politici ed intellettuali è capire, analizzare, interpretare al meglio ciò che nel profondo di questi processi agisca, come spirito del tempo e come impulso materiale originario. Mi verrebbe subito da dire che in questi mega pronunciamenti e fenomeni si coglie un messaggio unificante che accomuna queste moltitudini: non si accetta una visione dello sviluppo e dell’evoluzione delle società umane, senza che esso sia ancorato a valori, principi, spiritualità, senza che esso abbia al centro la sicurezza, la stabilità ed il miglioramento delle condizioni di vita delle persone. In questa sequenza di pronunciamenti, che per la maggior parte si sono verificati ed hanno interessato le società più avanzate del pianeta, gli USA e la vecchia Europa, paesi cioè nei quali si era raggiunto un buon equilibrio tra sviluppo economico e progresso civile e sociale (capitalismo lavorato, stato sociale, democrazia partecipata, grandi sistemi ideali, laici e religiosi, ecc.), sembra si sia espresso un grande rifiuto verso tutto ciò che si è verificato nelle economie e società in questi anni. Al di là della propaganda sulle proprietà taumaturgiche della globalizzazione, cioè della spinta all’economia di mercato, affermatasi ed estetasi comunque, prescindendo da regole, valori e diritti, la concreta condizione di vita prodottasi per milioni di persone è stata percepita come una situazione di arretramento, che tendenzialmente esclude la persona con i suoi diritti, le sue aspirazioni, dall’orizzonte sociale e ideale, dal futuro immaginabile. Una situazione che concretamente sta privando i cittadini di queste società, di un sistema di garanzie valido per tutti, in particolare per chi sta vivendo oggi, anche nelle nostre società evolute, situazioni di forte disagio sociale, segnate dall’incertezza nel futuro, dalla insicurezza, dalla crescente esclusione e diminuizione di chances ed opportunità, di eguaglianza e giustizia. Con la caduta dei grandi sistemi politici e ideologici, si è aperto un vuoto politico e culturale che è stato sostituito da ideologie liberiste che hanno finito per favorire logiche di sviluppo selvaggio, alimentando incertezza ed insicurezza sociale. Si è enfatizzata l’economia della ricchezza e del profitto personale e non come strumento di miglioramento delle condizioni di vita per tutti. Si sono ridotte le istituzioni democratiche ad apparati burocratici. Si è ridotta la politica a sola tecnica amministrativa, rinchiudendola nei recinti dei palazzi e del potere e dell’ambizione personale, togliendoli quella forza di cambiamento ed innovazione che le deriva dalla partecipazione attiva delle persone, sostenute ed organizzate in soggetti collettivi, intorno a idee, valori, progetti. Questi eventi ci segnalano questo enorme vuoto di guida, morale, ideale e politica, che necessita colmare, per ridare fiducia e speranza alla gente, altrimenti non potrà prevalere che la paura dei cambiamenti e dell’innovazione. Già ebbi modo, in occasione dell’elezione di questo Pontefice di richiamare ad una riflessione, la cultura laica, sul ruolo che la chiesa e più in generale la religione, avessero nella coscienza delle persone, come un ancoraggio forte ad una visione del progresso umano legato ai valori “cristiani”, di salvezza e riscatto della persona umana, che andava a riempire quel vuoto di valori ed idealità, quel senso di abbandono, esclusione ed insicurezza che si sta dimostrando molto diffuso nei comportamenti di milioni di persone e in questi recenti eventi. Ecco perché necessita che anche una cultura laica sappia comprendere, senza assumere atteggiamenti superbi, di chi pensa che comunque il progresso civile coincide o coinciderà comunque con lo sviluppo storico. Non è così. Ogni tappa va conquistata facendo leva sulle spinte, sui bisogni, sulle esigenze umane. Un laicismo genuino è quello che si fonda sulla ragione, sulla capacità di comprendere gli eventi nel suo insieme, di coglierne le “diverse ragioni”, anche se di matrice religiosa. Un laicismo anticlericale è anch’esso una dottrina clericale. Un laicismo “confessionale” è quello che non riconosce altre ragioni, se non le proprie, specularmente a chi pratica la politica confessionale che, in nome del solo proprio credo religioso, non riconosce le altre ragioni.


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