Reduci dalla lettura delle idee di Carlo Rizzoli sul Premio Letterario, ed avendo avuto anche noi a che fare (in modesti ma diversi ruoli) con l'editoria, esordiamo con l'ìaffermare di aver maturato una sana diffidenza verso i premi letterari in genere, ed a maggior ragione verso quelli figli di un Dio assai minore, come forse non era in principio, ma come ci pare sia ormai diventato il Premio Isola d'Elba. Per quanti sforzi abbiano fatto gli organizzatori delle ultime edizioni, l'autoreferenzialità di questa manifestazione è tale che in fondo la sua ragion d'essere è sostanziata solo dai fasti della serata della premiazione, con la partecipazione di VIP di medio cabotaggio ed aspiranti VIP a far da corona ad una madrina indubbiamente bonazza ma, a quanto ci risulta, non proprio correlabile all'arte dello scrivere. Per tacere poi dei criteri di preselezione della terna dei finalisti 2005. Gli sfortunati giurati popolari hanno dovuto scegliere "la cosa migliore" tra opere indubbiamente pregevoli, ma che erano rispettivamente un saggio, un romanzo e una raccolta di poesie: assurdo come chiedere a qualcuno se secondo lui è più dolce un gelato alla vaniglia, è più salato il mare o è più aspro un limone. Il tutto a comporre un quadro a parer nostro scontato, stereotipato, di un desolante provincialismo, che ha una capacità di attrazione dell'attenzione pubblica, prossima allo zero. Se le testate locali non si fossero spese e rispese, l'eco di questo premio che tutto il mondo ci invidia non avrebbe superato la Valdana e lo Scoglietto. In più, se almeno questo ambaradan servisse a premiare gli sforzi di un giovane, a segnalare un emergente, o come suggerisce Rizzoli come un momento di concreto rapporto tra letteratura e territorio, e non a consegnare attestati di benemerenza letterariamente postumi, potremmo pure riconoscergli una funzione, ma così, che ci sta a fare? All'Elba serve altro, sia per quanto attiene alle occasioni di fruire cultura, sia per promuovere la sua immagine.