La mancata assunzione di una donna in qualità di necroforo nel comune di Capoliveri mi suggerisce alcune riflessioni che desidero condividere con altri. La prima, immediata, è la discriminazione di tipo sessista che certamente è una delle componenti della decisione presa dall’amministrazione comunale: per i corridoi del comune aleggiavano le frasi: “ma una donna come becchino?!…O come fa a murare?…ci vuole forza!…bisogna essere Uomini ! e poi con i problemi che ha, sarebbe meglio un altro lavoro! ” Già, un altro lavoro. Eppure, la persona rifiutata come necroforo, di lavoro ne ha estremo bisogno, e da tempo. Ricordo quando, personalmente, avevo richiesto per lei, ad un imprenditore, un posto di lavoro estivo: mi aveva risposto di no, che aveva altre persone. Aveva però anche aggiunto che, conoscendo la situazione, avrebbe agito aiutandola finanziariamente; un aiuto che, a quel che mi è dato sapere, non è mai arrivato. Malgrado questo, nei limiti delle sue possibilità, con attività di tanti tipi, a volte inventate dalle possibilità che l’ambiente elbano ti offre, quella donna ha sempre lavorato, sostenendo da sola, economicamente e moralmente, il peso di una famiglia sicuramente non facile. Gli aiuti che le sono stati dati sono quelli previsti a termini di legge e chiunque si reputi un umano non potrebbe negarglieli. La seconda riflessione riguarda la società “Caput Liberi” che il comune di Capoliveri ha da poco formalizzato: molti dubbi avevamo fin dall’inizio sull’opportunità di creare questo tipo di società perché in un comune di 3000 abitanti, pur economicamente avanzato come il nostro, le attività da organizzare non sono così tante e così complicate finanziariamente da giustificare la delega ad un soggetto privato. Con difficoltà abbiamo ascoltato le proposte dell’amministrazione e con difficoltà abbiamo cercato di credere alle dichiarazioni di snellezza amministrativa e gestionale che ci venivano esposte. Di giorno in giorno sempre di più ci sembra che il principale motore di questa iniziativa sia l’assunzione clientelare, la trasformazione di posti di lavoro stabili in posti precari, la possibilità che contratti di lavoro concordati vengano superati da sbrigativi accordi personali che non superano la durata di un’effimera primavera, la creazione di un padre-padrone comunale da cui i figli capoliveresi dovranno dipendere. Ho stima del lavoro degli imprenditori, ma non è imprenditore chi non rischia del suo, chi usa denaro pubblico (sia esso di un ente di diritto privato che di diritto pubblico) per fondare una società che attenta al lavoro di imprese già costituite e presenti positivamente sul territorio, senza concordare nulla con loro. Non è imprenditore, poi, chi non capisce che nella definizione di impresa è insito il rispetto del rapporto denaro-lavoro: come bisogna rispettare chi rischia il suo capitale per creare lavoro e ottenere onesto guadagno, è altrettanto necessario che l’imprenditore, oltre a corrispondere il salario dovuto, sia sempre consapevole di avere nelle sue mani il presente e il futuro della vita di coloro che lavorano per lui. Cioè, non si scherza con il pane delle persone. E quindi non si scherza con il pane di una famiglia, per di più già in difficoltà. Secondo alcuni amministratori la Caput Liberi sarebbe stata fondata per dare lavoro a chi non ce l’ha: ma è proprio vero? Sono infatti proprio questi amministratori a non assumere chi di un preciso lavoro, un lavoro da becchino per 4 mesi, aveva legittimamente conquistato il diritto! Non si è onesti, ad agire così. L’8 marzo prossimo sarà un giorno triste: oltre al ricordo del motivo che giustifica questa giornata, ci sarà la rinnovata consapevolezza che i diritti sempre più spesso non sono rispettati: sia i diritti in generale sia, e ancor di più, i diritti di noi donne che siamo, troppo spesso ancor solo a parole, l’altra metà, uguale, del cielo.
capoliveri veduta
briano milena + grande