Incrociando la tua strada con persone importanti, che ti comunicano qualcosa di forte, non si riesce ad essere distaccati. Mi voglio quindi scusare fin da ora per quanti leggeranno queste mie parole e non potranno che trovarci trasporto: nello scrivere quest’articolo non sono riuscita ad essere oggettiva, come un vero giornalista dovrebbe essere, come mi e’ stato appena insegnato. A Firenze ho potuto incontrare, nel pomeriggio del 19 maggio, Giovanna Botteri e Gabriella Simoni, due tra le migliori inviate di guerra italiane. Parlavano agli studenti del polo sociale di Novoli, in un incontro organizzato dalla Sinistra Universitaria sulla libertà di informazione. Alla fine dell’incontro la Botteri e’ letteralmente corsa a Piombino per prendere la nave: il 20 sarà all’Istituto Tecnico Commerciale Cerboni di Portoferraio per parlare con i giovani elbani. Giovanna Botteri e’ una delle nostre giornaliste più conosciute. Ha cominciato alla redazione della terza rete rai nel 1983, e dal 1988 si occupa di esteri. In questi anni ha fatto l’inviata di guerra da tante “zone calde” del mondo: Iran, Sudafrica, Kosovo, Iraq. Professionista apprezzata per la sua voglia di esserci sempre, nonostante i rischi che poteva correre, ci e’ ormai diventata familiare con i suoi grandi ed espressivi occhi azzurri. Con modo diretto, ma allo stesso tempo riservato, ci ha raccontato, delle guerre, la storia delle persone, più che dei personaggi; ci ha dato modo di entrare nei conflitti, pur rimanendo in poltrona, a casa nostra. Il giornalista porta le persone dove non possono, ma e’ importante essere. La Simoni e la Botteri l’hanno fatto tante volte con noi. Ebbene, con estrema umiltà, davvero, vorrei provare a portarvi nell’aula dove oggi ho sentito parlare queste due splendide donne: per farvi capire che sarebbe valsa la pena esserci. Come al solito certe cose iniziano con immenso ritardo, alimentando talvolta, con una falsa attesa, una spiacevole delusione. Sono sicura però che nessuno degli studenti e studentesse che riempivano l’aula, l’ha sentita uscendone. L’hanno confermato i lunghi applausi, le risate partecipate e il fiato sospeso che hanno accompagnato i momenti più intensi dei personalissimi racconti di Botteri e Simoni. Giovanna ha sottolineato quanto in questo paese la libertà di informazione stia diventando sempre più un’esigenza, contrariamente a quanti la direbbero garantita a priori. “Il vero crimine e’ far credere che la realtà dei fatti non esista”. Esiste invece, ed e’ proprio la verità l’obiettivo del loro lavoro. Al di là di tutto: dei punti di vista, delle emozioni, delle opinioni. Perché solo così si può costruire un nuovo mondo dove la democrazia funzioni e l’informazione sia davvero onesta. Bisogna ricostruire il puzzle per quello che e’, accettando che non ci sono sempre solo buoni e cattivi, che non e’ sempre tutto bianco o tutto nero. Gabriella Simoni ha un pubblico agli antipodi rispetto alla collega: chi accomunerebbe mai un telespettatore del TG3 ad uno di Studio Aperto? Eppure il giornalismo dovrebbe perseguire sempre lo stesso intento, cercando la verità al di là di necessari schieramenti che si vogliono imporre anche fuori del mondo politico. Ormai, prima di porgere l’orecchio a qualcuno, ci si chiede se sia di destra o di sinistra, filoisraeliano o filopalestinese. “Le persone hanno un nuovo rapporto con l’informazione – dice la giornalista mediaset – possono averne accesso diretto; pensiamo solo agli strumenti che ci mette a disposizione internet”. Ma il giornalismo non perde, per questo, il suo ruolo di ricerca della verità: perché chi fa questo mestiere “non deve stare da nessuna parte, deve essere scomodo per tutti”. Nell’azienda del Cavaliere la “censura” non viene dall’alto, non e’ interna, come può essere nella politicizzata Rai, ma e’ il pubblico a rappresentare lo spartiacque tra quello che si può dire e quello che non si può, e talvolta diventa ancora più delicato il come lo si dice. E’ importante insinuare il dubbio in un ascoltatore che parte da granitiche certezze: che, ad esempio, la guerra in Iraq sia stata giusta, che Saddam aveva armi di distruzione di massa, che i morti islamici contino meno dei nostri. Per questo diventa veramente fondamentale la responsabilità individuale, non solo dei giornalisti ma anche del pubblico. “Perché basta un piccolo granello a far saltare il meccanismo, a far saltare il sistema” come dice la Botteri. Se in ognuno di noi si insinuasse il dubbio, se ognuno di noi si ponesse il problema di cercare la verità e cambiare ciò che non gli piace, ciò che gli sembra ingiusto, davvero un altro mondo sarebbe possibile. Tutti siamo giornalisti, tutti possiamo fare qualcosa. Ma, soprattutto, tutti dobbiamo interrogarci circa le ragioni dell’altro. Secondo la Simoni “Non esiste altra arma se non quella della testimonianza”. L’uccisione di Calipari ci ha tanto colpito perché abbiamo vissuto questo lutto attraverso la sua famiglia: le lacrime della moglie, il dolore dei figli, le parole del fratello. Ma - non voglio assolutamente analizzare qui i vari perché - centinaia di persone sono morte ai posti di blocco dall’inizio della guerra in Iraq senza che noi ce ne accorgessimo. Centinaia di nomi, di volti, di vite ci sono scivolate tra le mani, senza che ci fermassimo un minuto a pensare. Quando però c’e’ un giornalista che ci mostra i visi e ci racconta le storie, il numero assume improvvisamente una sembianza e capisci che “ogni morte può provocare dolore e sdegno”. E questa forse e’ davvero una delle cose più importanti che può fare l’informazione. Farci interessare alle cose del mondo. Smuoverci. Perché, come hanno detto entrambe le giornaliste, dopo essere stati al fronte non si può, una volta a casa, fare finta di niente, ritornando ad essere quello che gli altri si aspettano, quello che si era prima del conflitto. E, se un giornalista e’ stato davvero bravo, ci ha portato, almeno un po’, in viaggio con sé.
botteri