La storia delle concessioni demaniali, la loro origine, è quanto di più buffo e borbonico esista in un ordinamento moderno, mi dice l'ottimo Tremonti. Uno stato moderno e sinceramente rispettoso dei diritti dei suoi Cittadini non dà concessioni da rinnovarsi di anno in anno, od ogni tre anni, od ogni sei anni. Dà concessioni di 99 anni, oppure di 66, oppure di 33. L'Inghilterra insegna. Lo stato Inglese, in quei casi, non vende mai ma concede per un tempo talmente lungo che ogni concessionario ha la possibilità di fare investimenti e proiezioni economiche, fare utili e pagare le tasse conseguenti. Il territorio cinese di Hong Kong è un ulteriore esempio di concessione territoriale. La Cina aveva dato una concessione di 50 anni all'Inghilterra che, alla fine del tempo pattuito, si è tolta con estrema eleganza, ammainando con una bella cerimonia la sua Bandiera da quella che era ormai divenuta, a tutti gli effetti, una colonia, prospera, inglese. Le concessioni, nello Stato Pontificio e nello stato delle Due Sicilie, ed anche in quello Sabaudo, regolava le sue problematiche interne con le concessioni. Il più delle volte erano a pagamento di prestazioni ricevute, di prestiti erogati e non rimborsati. Era un modo i pagare senza tirare fuori una lira proiettando il debito nel tempo ed assicurando al creditore benefici ben superiori a quelli a lui dovuti. Molte altre volte la concessione era figlia della burocrazia e della corruzione, un modo per tacitare, un modo per ricompensare. Un altro esempio di concessione intelligente, se rispettosa delle leggi della natura prima di ogni cosa, è la concessione alle escavazioni, alle cave di materiale inerte, al coltivazione del marmo e delle miniere. Potrebbe una economia seria affrontare il costo di un impianto industriale con una concessione da rinnovarsi, magari sotto ricatto, di anno in anno? Torniamo all'Elba, mi dice l'elegantissimo Tremonti, non divaghiamo, mi rimprovera il burbero e serio Vice Presidente del consiglio dei Ministri. Torniamoci pure : ogni anno c'è la fila al rinnovo della concessione demaniale, tramite la capitaneria di Porto. Anzi, quelle annuali non sono neppure concessioni ma autorizzazioni. Che cosa cambi, nella sostanza, non si capisce. Ma il fatto è questo e non si scappa. Pazientemente, diligentemente, educatamente ci si mette in fila e si presenta rispettosa domanda di rinnovo. Ma perché impegnare la Capitaneria di Porto nel rinnovo annuale di codesta pratica che ha sin dall'origine la sua legittimità e, nel proseguo, una unica veste impositiva? E all'Elba si è anche fortunati che il personale addetto è sicuramente competente ed anche squisitamente rispettoso del cittadino. Ma sono pur sempre file inutili, carta inutile, pagamenti spezzettati. Ed allora, mi dice il Valtellinese pragmatico, perché non incassare tutto e subito e non dare diritti certi e determinati al cittadino imprenditore? Rimane l'antica motivazione strategico guerriera da superare: in caso di guerra lo Stato ha bisogno di avere le spiagge libere da persone e cose per apprestare le difese marittime a che i nemici non abbiano a sbarcare sui bagnasciuga dove, un tempo, avremmo dovuto fermare il nemico. A parte il fatto che ci ricordiamo benissimo, anzi malissimo, di come sia andata a finire, recintare con i mai dimenticati massi di cemento, o denti di cemento, 8.000 chilometri di coste mi sa proprio impossibile ed in caso di guerra (ma iniziata da chi e da dove?). E se la guerra fosse dichiarata all'Europa? Altro che 8.000 chilometri? Qui a Tel Aviv, ribadisco io all'uomo di Sondrio con gli occhiali, è tutto diverso, Palestinesi permettendo, le concessioni sono passate direttamente da Mosè che le ha aggiudicate tramite le sue tavole o così mi pare che sia. Bruno Paternò Orbene, d'ora innanzi nessuno si potrà arrogare il diritto di definire questo giornale come uno strumento di parte. Tutti sanno quanto ci prema questa particolare sezione del giornale, tutti hanno contezza di quanto quest'angolo di Elbareport sia in testa ai nostri pensieri. Cionostante proprio qui abbiamo ospitato una specie di serenata paternostriana che si è portato in questa notte di maggio amorevolmente sotto il verone del rimistro Tremonti che non azzecca i conti. La profanazione ha avuto luogo nonostante che possiamo condividere l'appellativo di "ottimo" riferito al succitato ministro in comproprietà tra legaioli e sforzisti se si aggiungesse la specifica "con le patate", tenuto conto che il suo cicciottello aspetto potrebbe renderlo appetibile, se non come ministro, come componente di una sostanziosa minestra da distribuire ad opportunamente antropofaghe residuali tribù. Il metodo di cottura di questo creativo genio liberista ispirato dalla nota massima di Adam Smith "Se c'è da fare cassa si vendono anche le brache di nonna" non sarebbe comunque obbligatorio, purché si evitasse di tentare di servirlo in bellavista (con mazzi di prezzemolo ed odori incastrati sotto gli occhiali mela in bocca e carota altrove) perchè (checché ne dica Bruno) la vista tutt'altro che bella sarebbe. Per quanto attiene il suggerimento tecnico di promuovere la svendita (pardon concessione per 99 anni) delle coste, ci parrebbe che il governo da 5 maggio (Ei fu!) Berlusconi determinerebbe così la collocazione della meravigliosa intraprenditoria turistica (alcuni) nella schiera dei mettinculi, e lo Stato (tutti noi) incontestabilmente tra i piglianculi, ci parrebbe operazione demoniaca più che demaniale e la cosa non ci sfrizzulerebbe nemmeno un filino il velo pendulo né altri più ascosi siti. Anzi ci sembrerebbe vergognoso ed immorale svendere patrimonio comune per finanziare qualche riduzione di tassa suggerita dalla Legabbiente, per le pulcinellate di fine legislatura dell'ometto che governando si salvò il culetto, e che mentre il paese s'impoveriva è riuscito (alle volte si dice il caso!) a veder crescere la ricchezza della sua famiglia in una consistenza priva di pudore.