E’ difficile credere che un lapis possa scandire il ritmo della storia, ma poi basta pensare come a determinarne gli eventi e a dare loro essenza siano in fondo gli uomini e le loro “piccole” cose. In questa percezione sta il grande talento di Manuel Rivas. Quando il vecchio Herbal se lo ritrova fra le mani, in quello squallido bordello della Galizia, è come se il lapis accendesse l’interruttore dei ricordi, soprattutto quelli che fanno male all’anima, che si trova immediatamente proiettata agli anni della guerra civile delle falangi franchiste, all’epoca in cui lui poteva disporre della vita e della morte. Oggetto straordinario, è stato nelle mani del falegname Antonio Vidal, che aveva promosso lo sciopero per le otto ore; viene regalato al carpentiere Pepe Villaverde, libertario e comunista; da questi passa al collega Marcial Villamor. E poi a quel pittore anarchico, che se ne serviva per disegnare i volti dei suoi compagni di prigione e di dolore, come fossero gli angeli e i profeti raffigurati proprio in quella cattedrale. Un detenuto, un pittore, un’altra sua vittima. Herbal comincia a prendere coscienza della sua condizione di uomo comunque sconfitto, grazie proprio a quella matita che traccia in lui i limiti, il solco dell’abbrutimento dell’individuo, che poi sono in fondo i limiti della Storia. Manuel Rivas Il Lapis del falegname (Traduzione di Pino Cacucci) Edizioni Feltrinelli Euro 6,50
libro alcazar