E’ difficile credere che un lapis possa scandire il ritmo della storia, ma poi basta pensare come a determinarne gli eventi e a dare loro essenza siano in fondo gli uomini e le loro “piccole” cose. In questa percezione sta il grande talento di Manuel Rivas. Date, nomi, battaglie e ricorrenze sono solo la parte più superficiale, che non avrebbe modo di essere se non sostenuta dal carico di esperienze umane, slanci di impetuoso coraggio, intima sofferenza, lacrime represse e gioia condivisa. Quando il vecchio Herbal se lo ritrova fra le mani, in quello squallido bordello della Galizia, è come se il lapis accendesse l’interruttore dei ricordi, soprattutto quelli che fanno male all’anima, che si trova immediatamente proiettata agli anni della guerra civile delle falangi franchiste, all’epoca in cui lui poteva disporre della vita e della morte. Herbal padrone del destino altrui, ma in apparenza non del suo, in drammatico conflitto fra la fedeltà alle leggi militari e l’immedesimazione con la sensibilità di chi dovrebbe esserne vittima, fino al punto di tradire se stesso in nome di una donna che non sarà mai sua. Herbal attore di una tragedia, proprio come il dottor Da Barca, l’incarnazione della diversità, di tutto ciò che lui, gretto caporalmaggiore, non potrà mai essere. E quello che all’inizio era forse odio nato dall’invidia per le diverse attenzioni di una donna bellissima, diventa a un certo punto ammirazione, desiderio e ansia di essere altro. Presenza, cultura, essenza del bello in quanto tale, anche nell’esilio e nel confronto con la sofferenza. Non si saprà mai se l’improvvisa generosità sia frutto dell’assurdo amore per Maria, occasione per dimostrare il suo potere, resta il fatto che Herbal non si macchia dell’ennesimo delitto. O forse è il lapis, simbolo delle molte opportunità che si offrono agli uomini, a scrivere parole nuove nella sua anima, a fargli riassaporare l’odore degli incensi che lo aveva avvolto quando visitò la basilica di Santiago de Compostela. Nel ricordo di quel profumo e dei canti in latino, tornano a prendere vita figure e immagini di quel passato, allora ancora troppo recente e per questo più dolorose. Oggetto straordinario, è stato nelle mani del falegname Antonio Vidal, che aveva promosso lo sciopero per le otto ore; viene regalato al carpentiere Pepe Villaverde, libertario e comunista; da questi passa al collega Marcial Villamor. E poi a quel pittore anarchico, che se ne serviva per disegnare i volti dei suoi compagni di prigione e di dolore, come fossero gli angeli e i profeti raffigurati proprio in quella cattedrale. Un detenuto, un pittore, un’altra sua vittima. Herbal comincia a prendere coscienza della sua condizione di uomo comunque sconfitto, grazie proprio a quella matita che traccia in lui i limiti, il solco dell’abbrutimento dell’individuo, che poi sono in fondo i limiti della Storia. Alcazar, Guernica, nomi di indubbio fascino, ma poi per scandire il susseguirsi di grandi eventi nella parte più intima di ciascuno basta un lapis rosso con le scritte dorate; soprattutto se si parla di guerra, da cui, è bene ricordare sempre, non tornano mai veri vincitori. Perché i sorrisi potranno asciugare le lacrime ma non cancellare il ricordo della sofferenza che le ha generate. E quando Herbal se lo trova fra le dita deve fare i conti con la propria coscienza, con i volti dei fantasmi che sono gli stessi: gli spazi della sua memoria e gli angeli di Santiago de Compostela ritratti da quel pittore che lui ha conosciuto fin troppo bene, e di cui il lapis continua a tracciare il profilo. Il profilo degli ultimi. Il profilo di quanti sono stati e saranno sempre il valore vero della Storia. “Ho imparato di più sulla guerra civile spagnola da “Il lapis del falegname” di Manuel Rivas che da qualsiasi libro di storia io abbia letto” Günter Grass (premio Nobel per la letteratura nel 1999) Manuel Rivas Il Lapis del falegname (Traduzione di Pino Cacucci) Edizioni Feltrinelli Euro 6,50