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A Sciambere della paura della canzone

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : martedì, 26 aprile 2005

Pubblicato appena prima di questo pezzo c'è il testo di una canzone che abbiamo inserito per due motivi: il primo è un ciao di Elbareport alla Festa della Liberazione, in cui si ricordano valori che debbono trapassare tempo e generazioni (per questo abbiamo accoppiato una foto d'epoca con una sfilata di Partigiani a Voghera con i Modena City Ramblers che Bella Ciao la cantano rockando e rollando), il secondo è per indurre una riflessione non sulle brache di nonna ma sul testo medesimo. Passi infatti che siamo in tempo di pieno revisionismo galoppante di storicuzzi d'accatto, di sbavante equidistantismo tra carnefici e vittime alla Bruno Vespa, di vergognose quanto inutili esegesi del pensiero di Ciampi (che è stato chiarissimo) da parte dei TG del morente regime. Passi che per tutti questi signori l'angoscia è quella di porre una pietra sopra il passato, poiché è un passato che insidia il loro futuro, ma per adombrarsi, schifarsi, vergognarsi imbarazzarsi per una canzone come Bella Ciao (non parliamo di "Fischia il Vento" che poi sarebbe il vero inno dei Partigiani tra le cui rime spunta una "bandiera rossa" e un "fascista vile e traditor") non basta essere faziosi, occorre anche una certa dose di analfabetismo primario o di ritorno. Non c'è il tutta la canzone un riferimento ad un partito, ad una fazione ad un simbolo della sinistra, l'espressione più forte che vi si trova è quella finale "morto per la libertà". Ma forse è proprio questo che si vuole negare, insultando a 60 anni di distanza quei ragazzi crepati sui monti, la gente innocente trucidata dai nazisti e dai fascisti, quelli mandati a morire nei campi di sterminio. Vorrebbero livellare, parificare, mescolare il non mescolabile, vorrebbero cambiare quell'ultimo verso "morto per la libertà" in "che morì in guerra civil". Perchè tutto ciò, anche queste apparenti minuzie, sono funzionali ad uno stravolgimento costituzionale: la cultura democratica della Resistenza non si sposa con l'autocratico silvierato, stride con i disegni di un sempre più autunnale e cupo patriarca grottescamente imbellettato ed imbalsamato in vita. Guerra civile un cazzo. Da una parte c'era la democrazia (nelle sue dodicimila sfaccettature) dall'altra gli altri. Non potete mettere la sordina a chi canta "Bella Ciao" non c'è da emendarne alcun verso. Caso mai c'è da aggiungere un recitato finale rubato a Bertold Brecht: "Il ventre da cui è nato è ancora fecondo"