Piazza della Repubblica è sgombra d’auto, intorno al monumento dei caduti una discreta partecipazione di cittadini, il picchetto d’onore della Marina, i rappresentanti delle Forze dell’Ordine e delle Istituzioni, associazioni ex combattentistiche e d'arma, la Filarmonica Giuseppe Pietri, e in un angolo un cuore di bandiere rosse. La Cerimonia di commemorazione del 25 aprile, cominciata alle 9 di mattina, con la deposizione di altre 4 bandiere ad altrettanti monumenti cittadini ed la Santa Messa, sta arrivando al suo momento conclusivo. Uno sguardo intorno, chi c’è e chi non c’è, molti bambini piccoli con i genitori, visi segnati, espressioni rigide dalla commozione alle prime note della banda, nella piazza centrale senza auto c’è più spazio per chi ha voglia di ricordare e capire. “E’ la festa costituitiva, nel segno della Liberazione” – ha detto al microfono Giorgio Fanti, 84 anni compiuti proprio il 25 aprile, giornalista Rai e partigiano duranti gli anni della Resistenza. Ha proseguito poi facendo un netto distinguo tra i caduti della Repubblica di Salò ed i Partigiani. “Uguali soltanto nei numeri, circa 200 - 250 mila da una parte e dall’altra. Diversi in tutto il resto. Tra i combattenti di Salò –continua Fanti – troviamo i prigionieri di guerra a cui avevano promesso il rientro in Italia, giovani in buona fede che credevano in quell’ideale, altri malviventi sbandati che non avevano più nulla da perdere. Questo esercito era protetto dalle SS tedesche. Dall’altra troviamo coloro che volevano salvare l’Italia, senza avere la protezione di nessuno. E non è, come vorrebbe il revisionismo di De Felice, che la popolazione si trovasse passiva tra due zone grigie. La popolazione aiutava e nutriva i partigiani, altrimenti sarebbero stati pesci fuor d’acqua che non sarebbero riusciti a vivere”. Un discorso molto rigoroso, quello di Giorgio Fanti, basato sulla nitidezza che la storia di 60 anni fa sta facendo riemergere – molte le stragi impunite o dimenticate anche grazie alla sottrazione di materiale documentario – mai astioso, senza più la frattura civile di quegli anni tragici, ma con la netta e serena distinzione tra chi combattè per l’Italia repubblicana e chi si ostinò a difendere gli orrori del 3° Reich. Sullo stesso registro l’intervento del Sindaco Roberto Peria che dopo aver ripercorso il pesante tributo pagato dalla Toscana durante la guerra di Liberazione ha ricordato i cardini della Carta costituzionale nata nel 1947, adesso invece messi in chiaroscuro: il bilanciamento dei poteri, la solidarietà, l’unità nazionale, il ripudio della guerra. Al termine dei due interventi le note dell’Inno di Mameli, a seguire, dall’angolo rosso della Piazza, è salito il canto partigiano “Bella ciao” esteso ben presto a tutti i presenti. Il picchetto d’onore, ed i rappresentanti delle Forze dell’Ordine, finora irrigiditi dal cerimoniale, si sono cimentati in un rapido rompete le righe, talmente efficiente da dare l’impressione, ai non addetti ai lavori, di esibirsi in uno scorbutico voltaspalle. Le note di “Bella ciao” quindi, già orfane di tante divise, non hanno avuto neppure il conforto del sottofondo musicale della banda. La cerimonia si è poi conclusa con le musiche più "ortodosse" della Filarmonica cittadina.
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