Leggiamo sul Tirreno di sabato che una rappresentanza di operatori cinesi dell'outgoing avrebbe toccato la Toscana per un educational di una settimana, esprimendo peraltro impressioni nel complesso positive. Volutamente sorvolando sul quesito se all'Isola d'Elba qualcuno ne abbia visto traccia – lasciando in sospeso una risposta che magari può giungerci dal nuovo e a quanto pare di valore dirigente dell'APT –l'occasione ci consente di affrontare il tema dei delicati rapporti che legano la nostra amata isola alla nostra altrettanto amata regione. Le operazioni che questa ha lanciato negli ultimi anni, per mezzo di Toscana Promozione e di euro sonanti, anche quando hanno interessato l'Elba (o, se vogliamo allargare i nostri orizzonti, l'intero Arcipelago) sono state a mio avviso purtroppo decise e dirette esclusivamente ai massimi livelli della gerarchia istituzionale ed hanno precluso quello che – nell'idioma che implacabilmente ha surclassato la lingua del Manzoni quando si pretende di far ricorso ad un lessico tecnico – si è soliti indicare come governance, vale a dire, e suona così bene, la concertazione. Sarà che per natura nei confronti delle imposizioni d'autorità ho sempre provato una certa diffidenza; sarà che nei documenti della Regione Toscana il riferimento alla necessità di un confronto con le parti, in una fase preliminare rispetto a quella di indirizzo, è frequente; sarà che per affermare il principio di sussidiarietà si sono scomodate le norme europee e la nostra Costituzione; sarà per quest'ordine di motivi che l'operato della Regione nei confronti delle sue terre marine non mi convince. Si leggono proclami sui milioni a noi destinati e si scopre di non avere voce in capitolo, che quei denari verranno devoluti in un'unica manifestazione, sulla cui utilità a livello di ritorno si possono anche avere dei dubbi, si può non essere d'accordo. Ci si accorge allora di non sapere esattamente su cosa, noi elbani, potremmo essere d’accordo. Et voilà, eccolo qua il motivo, forse, per il quale qualcuno ha via libera a non attenersi a quei principi ed essere “costretto” a decidere per noi. E se magari senza saperlo fossimo tutti d'accordo? Perché tollerare la debolezza di non avere un interlocutore che possa farsi portavoce delle nostre istanze? Quale tipo di turismo vogliono gli elbani? Quale tipo di turismo è coerente con le caratteristiche dell'Isola d'Elba? Se la risposta a queste due domande coincidesse saremmo “un bel pezzo avanti”. In caso contrario, temo che l'interesse dell'isola, che già ha dovuto sopportare i forni etruschi, dovrebbe prevalere. Ci renderemmo conto comunque nel lungo periodo che un turismo sostenibile per l'Elba rappresenta la migliore garanzia per il nostro futuro e che se fossimo capaci – tutti – di riconoscerci di nuovo nei ritmi di quest'isola, senza grande sforzo (se non quello di riuscire a trasmetterlo al pubblico) ritroveremmo la nostra posizione di successo fra i tanti concorrenti del turismo internazionale. La natura è stata generosa con le “sette sorelle del Tirreno” eppure non siamo riusciti a tutelarne pienamente l'identità e le ricchezze: un sordo bisogno di emulazione ed i soliti gretti personalismi ci hanno trascinati sulla strada dell'appiattimento informe. E sì che ogni anno, in primavera, la natura ci ricorda che siamo dei prescelti.
pomonte dal mare panorama