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Controcopertina: Beati voi quando vi insulteranno ...

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : venerdì, 08 aprile 2005

All'articolo del Prof. Luigi Totaro che si intitolava "Il Papa sconfitto" ha fatto seguito un intervento di di Antonio, Tommaso, Stefano. I tre hanno anche ricevuto il plauso di una signora che si è firmata "una credente" che ci ha scritto: "Ringrazio di cuore i regazzi che hanno replicato alla lettera del Prof. Totaro. Vi prego!! Vi supplico!!Lasciateci vivere questi momenti di dolore per la morte del Papa e di gioia di saperlo in Cielo con il Padre e tra le braccia di Sua Madre, senza le solite polemiche". Oggi il docente dell'Ateneo fiorentino, stimolato proprio dalla nota dei nostri tre amici, torna a manifestare il suo pensiero sviluppando il suo ragionamento sul perché l'evento mediatico finisca per tradire lo spirito evangelico. Caro Direttore, permettimi di rispondere all’appassionato intervento di Antonio, Tommaso, Stefano. Ho parlato di “sconfitta” di Giovanni Paolo II non certo per sminuirne la figura, quanto per ricondurla al suo paradigma fondamentale, il grande sconfitto per eccellenza, Gesù, morto in croce, deriso dai più, abbandonato dai suoi, e poi accompagnato dai loro dubbi e dalle loro esitazioni (solo poche donne, con Maria, hanno “visto” la sua resurrezione). Del resto, nell’Evangelo, “beati” vengono definiti solo gli sconfitti: “Beati i poveri in spirito.. Beati gli afflitti… Beati i miti… Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia… Beati i misericordiosi… Beati i puri di cuore… Beati gli operatori di pace… Beati i perseguitati per causa della giustizia… Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia….” (Matteo 5,1 ss). Di contro a questo insegnamento di Matteo si pone l’atteggiamento assunto in questi giorni dalle televisioni, che vogliono in tutti i modi di celebrare un “trionfo”, mostrare grandi consensi e grandi successi di un uomo che pure ha visto con inesorabile progressione attuarsi una scristianizzazione del mondo e dell’umanità di cui era stato scelto come guida: non perché non si sia impegnato nella sua missione, ma perché quella missione è straordinariamente difficile, dovendo contrapporsi a modelli di “beatitudine” diffusi, insegnati, propagati e ormai dilaganti, tutti connotati appunto dalla corsa al “successo”, vero o ‘apparente’ che sia. Le continue interviste ai “papa boys” nei servizi televisivi sono sconfortanti: vi si manifesta una ‘adesione per gratificazione’ –“si è accorto di noi, ci ha chiamato, è venuto a trovarci, e noi ora veniamo da lui”–; ma, oltre questo “sentimento”, oltre i “riti”, non si percepisce una attenzione e una comprensione del magistero papale, un tentativo di coglierne la profondità anche nelle contraddizioni (come è normale in ogni uomo) –ad esempio, la vicinanza ai poveri del mondo e la paura che essi ne derivassero la definizione di nuovi modelli esistenziali (“la teologia della liberazione” in America latina) pericolosamente paralleli ai modelli marxisti–; un’attenzione a comprendere scelte anch’esse contraddittorie –la chiusura verso i missionari sudamericani impegnati fino alla morte in realtà di degrado e di povertà inimmaginabili, e la scelta in alternativa di appoggiarsi all’“Opus Dei”, cioè a una istituzione che fonda la propria militanza cristiana sul potere economico e politico realizzata ai vertici della società–. Così tutto viene svilito a esibizione di zainetti, chitarre, magliette, poster e adunate oceaniche, nelle quali la cosa importante sembra “esserci” e stare insieme (che non sono disvalori, ma sembrano fini a se stessi). Certamente bene per la “conversione” di qualcuno cresciuto in strada: mi spiace, e credo anche al Papa, per quelli che sulla strada ogni giorno ci muoiono di disperazione comunque mascherata, o per quelli che comunque sopravvivono e tirano a campare. Vitelli grassi da uccidere ce ne sono stati davvero pochi, in questi anni. Per quanto riguarda la Pace, io stesso l’ho definito “costruttore di pace”: ma parlare di vittoria mi sembra improprio. Quanto al chiedere perdono per gli errori del passato, è certo gesto apprezzabilissimo e prezioso; ma è certo più difficile chiedere perdono per gli errori commessi nel presente, e direttamente e non da altri che non ci sono più. Questo ci porta al discorso sul Comunismo, e sulla Libertà: io credo che il comunismo sovietico sia morto di consunzione, e che la Libertà sia comunque una aspirazione di tutti coloro che non la possiedono. Ho moltissimi dubbi che essa abiti oggi nei paesi ‘liberati’, a partire dalla Russia e dalla Polonia. Ma soprattutto ho la certezza che in tutto il Sud del mondo essa è prospettiva lontana e quasi inimmaginabile, perché la Libertà è cosa complessa: oltre alla sfera della politica, della vita civile, della religione, esiste la dimensione della sopravvivenza, della dignità, dell’istruzione, della speranza. A parte il problema della salute –quanto tempo ancora peserà sulla diffusione dell’AIDS la perentoria chiusura del papa all’uso di preservativi?–, non dubito che Giovanni Paolo II abbia lavorato in questa direzione, e anzi la sua voce si è levata forte e chiara. Ma coloro ai quali era diretta –quel mondo del capitalismo, del mercato, della competizione, del successo nel quale viviamo noi e nel quale abbiamo chiamato a vivere (sia pure in secondo piano, per ora) i popoli “liberati” dal comunismo– hanno lasciato cadere le sue parole, rifugiandosi in un consenso ipocrita e sterile, del resto già sperimentato da Gesù: “Hanno orecchie e non sentono…”. E ogni giorno i ricchi sono sempre più ricchi, e i poveri sempre più poveri. E ogni anno muoiono entro il primo mese di vita nove milioni di bambini, mentre da noi si discute della difesa a oltranza degli embrioni. Mi pare difficile parlare di vittoria… Per questo avevo scritto che la sua morte, alta testimonianza di dignità e di fede, meritava di essere celebrata in silenzio, perché non se ne perdesse il senso, storditi in mille aneddoti insignificanti di compagni di scuola o di squadra di calcio, e quant’altro. Questo per stare in una prospettiva di lettura laica. In una prospettiva religiosa, poi, rendere evanescente l’istituzione –la Chiesa– dietro l’uomo; rivendicare a lui meriti che dovrebbero essere dello Spirito che guida la Chiesa e che lo ha scelto come guida del popolo cristiano –allo stesso modo che ha scelto i predecessori e sceglierà i successori–; esaltare la grandezza di un papa come se predecessori e soprattutto il successore dovessero rimanerne abbagliati, mi pare appartenere a una cultura dello straordinario, dell’eccezionale, della ‘performance’, più adatta agli stadi (o a una visione ‘politica’, incamminata peraltro verso una rapida sconfitta) che non alla Chiesa di Dio. Il numero straordinario di santi proclamati da Giovanni Paolo II è stato un altro messaggio grande e incompreso: mi è parso voler dire che la santità sta nelle piccole cose, nell’ordinarietà della vita condotta con semplicità, quasi di nascosto, nell’ascolto della propria vocazione e nell’impegno a realizzarla: nessun “Magno” fra loro. “Beati i poveri in Spirito…”.


luigi totaro

luigi totaro