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Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas

Scritto da : Elena Maestrini
Pubblicato in data : mercoledì, 16 ottobre 2002

Superbur classici, Milano 1998 Cominciamo da un aspetto propriamente esterno al contenuto: il contenitore, la forma, ma quella fisica. Un mattone azzurro a due piani, di 915 pagine fitte di caratteri minutissimi. Forzando la diffidenza iniziale, tutta quella mole diventerà sempre più la rassicurante garanzia di un mondo parallelo che non saremo costretti ad abbandonare troppo presto. Leggere Montecristo, per eccellenza il libro della vendetta, significa esercitare costantemente la capacità di perdono nei confronti del suo autore. Dobbiamo perdonargli uno stile quasi infimo, una sintassi sgangherata che con un eufemismo potremmo chiamare irta di anacoluti, una constructio ad sensum , che definita in italiano corrente suonerebbe molto peggio. D’altra parte saremo ripagati con una delle storie più appassionanti che siano mai state scritte “capace di torcere le viscere ad un boia”, come la definisce Umberto Eco nella prefazione all’edizione indicata. Un’ architettura narrativa che sprigiona una potenza straordinaria, un mattone azzurro a due piani che si trasforma in vulcano incandescente con lava e zampilli ad ogni voltar di pagina. Una immaginazione esplosiva, e nello stesso tempo un intreccio sapientemente calibrato, una capacità invidiabile di costruire mondi incredibili, sproporzionati, esagerati, addirittura ridicoli nel loro impianto melodrammatico, e di guadagnarsi la fiducia totale del lettore che continua candidamente e voracemente a leggere, e a perdonare un libro scritto con i piedi. Edmont Dantès semplicemente ci abbaglia, ci scaraventa in aria, gioca abilissimamente con la nostra aspirazione al divino e al diabolico. Chi è Dantès? Tutto, ovviamente: in un libro dell’eccesso è il minimo che si possa chiedere. Sbozzato come si suol dire “col piccozzino” dal punto di vista psicologico, Dantès diventa l’alternativa ad una fede religiosa, conquistandosi il suo ruolo attraverso prove archetipe, la sofferenza, il coraggio, che lo promuovono all’Olimpo. Vede e prevede tutto. Quasi tutto. Perché ciò che rende il libro veramente degno di essere letto, è che, nella stucchevole onniscienza del Conte di Montecristo, non è stata prevista la natura umana delle cose, che lo sorprende e lo travolge. Un’ultima nota: fa un certo effetto in tutta questa straordinaria macchina da presa, non solo immaginarsi la sagoma familiare dell’isola di Montecristo, ma anche scoprire che Dantès dopo aver attraccato molto probabilmente al molo dell’orologio, ha scorrazzato per le vie di Portoferraio, al tempo in cui Napoleone scrutava impaziente il mare, dalla Palazzina dei Mulini.


Montecristo

Montecristo