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Tutte chiacchiere e distintivo

Scritto da : Sergio Rossi
Pubblicato in data : sabato, 12 marzo 2005

“Sfortunato il paese che ha bisogno di eroi”. Soprattutto quando la loro grandezza silenziosa viene sommersa da una marea di parole inutili, vuote, insincere, un’alluvione grigia in cui sembrano affogare anche le poche idee, i pochi valori degni di questo nome. L’uccisione di Nicola Calipari è stata immediatamente ridotta a spunto per il talk show ininterrotto che avvelena l’Italia come un cancro da anni, e ogni anno è peggio. Il copione logoro di una politica e di un’informazione annichilite dal vuoto televisivo non ci ha risparmiato nulla: dal “giallo” in cui tutti dichiarano di volere chiarezza, mentre già si inseguono le smentite ufficiali e ufficiose, la ridda dei dettagli insignificanti, le ricostruzioni di leader politici che diventano esperti di balistica dalla sera alla mattina , fino alla solita polemica da quattro soldi fra destra e sinistra, che ci farà sicuramente sapere quale sarà la posizione dell’Udeur sull’eventuale mozione per l’eventuale ritiro (graduale, si intende) delle truppe italiane, e quanti voti farà guadagnare per le elezioni regionali. In mezzo, le disquisizioni tecniche, diplomatiche, burocratiche dei tanti “dottor sottili”, o le sparate tanto aggressive quanto prive di contenuto (la più stupida è quella legata alla categoria di “antiamericanismo”, usata ormai come una formula magica, nella totale mancanza di argomenti). Così, le uniche cose serie ed importanti che si possono dire non emergono mai. Pochi concetti elementari, chiari, onesti, su cui aprire una riflessione. Ne vogliamo proporre uno, uno solo, per non perdersi nello sciame delle polemiche. Partiamo da uno dei passaggi che ha avuto meno attenzione in questi anni, e che invece dovrebbe avere un’importanza cruciale: l’istituzione del Tribunale Penale Internazionale a Roma nel 1998. Nella disattenzione quasi totale, il Tribunale Penale Internazionale è entrato in funzione, ed ha cominciato ad occuparsi di crimini di guerra. E’ un organo super partes e senza connotazioni ideologiche, accettato liberamente e democraticamente dai paesi che ne hanno già ratificato l’istituzione. Fra questi paesi non ci sono gli Stati Uniti d’America, assolutamente contrari anche sotto il governo di Bill Clinton. E non ci sono neanche la Russia e la Cina, cioè tre dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Solo per rendere più evidente un concetto già evidentissimo (e forse per questo non ne parla quasi nessuno), si può citare anche il Trattato di Ottawa del 1997, che ha messo al bando le mine antiuomo. Manca l’adesione, tanto per cambiare, di Cina, Russia e soprattutto degli Stati Uniti. Noi chiediamo pertanto che si apra una discussione profonda sulla nostra alleanza politica e militare con un Paese che rifiuta di sottostare alle più elementari e valide convenzioni internazionali che l’Italia e l’Europa hanno adottato. Chiediamo quindi che si discuta apertamente e senza remore dei motivi dell’esistenza della Nato, creata 55 anni fa in un contesto politico assolutamente diverso da quello attuale. Non accettiamo e non accetteremo come un dogma di fede (visto che viene postulata in questi termini) l’esistenza di tale alleanza, dal momento che giuridicamente è semplicemente un trattato da confermare ogni dieci anni. Chiediamo che la questione della conferma nel 2009 del Patto Atlantico sia oggetto dell’informazione da parte dei giornalisti e di una discussione chiara e trasparente da parte dei politici, che hanno l’obbligo morale di spiegare perché dobbiamo accettare un’alleanza che coinvolge la nostra sovranità (per estensione, quella europea), con stati che non accettano principi fondamentali di diritto internazionale che la Repubblica Italiana e l’Unione Europea si sono dati da anni. Chiediamo in altre parole un po’ di coerenza, di coraggio, di grandezza di intenti o quanto meno di onestà intellettuale a tutta la nostra classe dirigente, senza distinzioni politiche, perché è ora di cominciare a distinguersi sulle questioni vere e fondamentali, non sulle date di ritiro delle truppe o sulle astensioni tecniche al loro finanziamento, o sui richiami formali agli ambasciatori e altre amenità da salotto televisivo. Sarà anche l’ennesimo appello vano, ma forse servirà a ricordare a tanti paladini della democrazia che la politica estera non è un dominio riservato e che lettori, spettatori, elettori non sono minori da tutelare. Per questo continueremo a porvi con forza e semplicità le domande alle quali non siete abituati a rispondere.


Iraq check point

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