Chi ama la guerra son omini tristi Di poca scienza e di core cattivo Fossero stati invece socialisti Il figlio mio sarebbe ancora vivo La guerra è bella pe’ i capitalisti ……… Il brano che abbiamo proposto in apertura è tratto da un bellissimo “contrasto” tra una donna proletaria ed una ricca, una canzone scritta (dalla parte dei poveri) e diffusa in Toscana all’inizio del ventesimo secolo quando l’italietta si avventurò a fare la guerra alla Libia. Una stupenda tristissima canzone riscoperta da Caterina Bueno, che ci parla di un tempo tanto lontano che i socialisti erano da prendere sul serio e tanto vicino perché a quasi un secolo di distanza lo si può cantare pressoché immutato e mantiene la sua lucida, seria efficacia pacifista. Ma si può essere pacifisti e un poco più irridenti e allegri, e talvolta si può far si che “creatività” faccia rima con “budelloditumà”, come è successo agli elbani presi nel gorgo della manifestazione romana a scandire: “questa guerra non ci va – il budelloditumà”. Perché diciamolo il “budelloditumà”, che ormai ha perso la sua originaria accezione di turpe offesa della genitrice dell’ingiuriato/a, così come “casino” significa ormai più “confusione” che “lupanare” (no assessore, non è un processo della panificazione, chieda ai colleghi che se ne intendono) il budelloditumà dicevamo, talvolta è tanto tanto liberatorio! Già avemmo a scrivere che anni fa incrociammo su un valico appenninico, giusto al confine tra la terra di Tuscia e la limitrofa, un cartello con due scritte tracciate da mani diverse. La prima recitava: “Qui finisce la Repubblica del Nord” - però sotto, in caratteri più piccoli, ma decisi qualcuno aveva vergato: “E incomincia il budelloditumà”. Diteci voi se il primo non era un tonto a giro ed il secondo non era un genio.