Ogni giorno quasi 5 reati nel traffico illegale dei rifiuti: dal 1994 al 2003 sono state 17.097 le infrazioni accertate nel nostro Paese. Un business che in dieci anni ha fatto guadagnare alla criminalità ambientale ben 26,9 miliardi di euro e che per il 39% si è concentrato nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa: Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. E ancora, sono più di 1000 le persone cosiddette “di interesse operativo”, e cioè oggetto di particolare attenzione da parte dei carabinieri del Comando tutela e ambiente. Nelle 32 indagini compiute negli ultimi tre anni da parte delle forze dell’ordine, sono stati arrestati 200 trafficanti, ne sono stati denunciati 647, con il coinvolgimento diretto di ben 192 aziende attive nella gestione dei rifiuti (dall’intermediazione allo smaltimento, passando per il trasporto, lo stoccaggio e il trattamento). Sono 22 le procure impegnate attualmente in inchieste sul traffico illecito di rifiuti, mentre le regioni interessate da queste attività criminali sono ben 18, sostanzialmente tutto il territorio nazionale con l’esclusione del Trentino Alto Adige e della Valle d’Aosta. È un quadro inquietante quello che emerge dal dossier elaborato da Legambiente e dal Comando Carabinieri tutela ambiente in occasione del decennale del Rapporto Ecomafia. Il preoccupante livello di organizzazione che i traffici illegali di rifiuti hanno raggiunto in Italia, le tipologie, i prezzi, i profitti e i movimenti della ‘monnezza connection’, sono stati raccolti nel dossier “Rifiuti S.p.A., radiografia dei traffici illeciti” e presentati questa mattina a Roma nel corso di una conferenza stampa presso il Comando Carabinieri Politiche Agricole. Alla presentazione hanno partecipato tra gli altri Altero Matteoli, ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio; Roberto Della Seta, presidente nazionale di Legambiente; Giorgio Piccirillo, comandante Unità mobile speciale dell’Arma dei Carabinieri; Ermete Realacci, presidente onorario di Legambiente; Piero Luigi Vigna, Procuratore nazionale antimafia; Paolo Russo, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti; Roberto Centaro, presidente della Commissione parlamentare antimafia; Mirko Stifano, membro della Commissione di riforma del codice penale ed Enrico Fontana, responsabile Ambiente & legalità di Legambiente. Ciò che emerge da dieci anni di indagini e ricerca è che il problema non è più un’esclusiva del Sud Italia, lo dimostrano anche in numeri. Le 10 procure del meridione attive contro gli ecocriminali sono state “messe in minoranza” dalle 12 del centro nord, a testimonianza che la criminalità ambientale italiana agisce aldilà dei confini storici. E allora basta ricordare le procure del centro Italia come quelle di Spoleto, Larino (Cb), Rieti, Firenze e Livorno. Ma anche quelle del nord ovest, come Milano, Busto Arsizio, Alessandria e Mondovì (Cn), e quelle del Nord est, come Forlì, Venezia e Udine. E allora si è scoperto che i veleni sono stati scaricati illegalmente in Piemonte, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Toscana ma anche nella verde Umbria e addirittura in Molise. Sono state coinvolte le provincie meno note agli onori delle cronache della criminalità ambientale, al nord (come quelle di Alessandria, Novara, Cuneo, Varese, Rovigo, Ravenna, Forlì, Gorizia e Treviso), al centro (Livorno, Perugia, Rieti e Campobasso) e al sud (Cosenza, Trapani). “E’ davvero impressionante – spiega Roberto Della Seta, presidente nazionale di Legambiente - l’enorme varietà di rifiuti al centro di questo mercato illegale: si va dalle polveri di abbattimento fumi delle acciaierie ai fanghi di depuratori industriali e civili; dalle terre di bonifiche contaminati da idrocarburi ai rifiuti contenenti rame, arsenico, mercurio, cadmio, piombo, cromo, nichel, cobalto, molibdeno; dai residui di concerie ai rifiuti ospedalieri, dai rifiuti solidi urbani ai pneumatici fino al fluff, ovvero i rifiuti delle parti non metalliche delle automobili. Sembra che non vi sia tipologia di rifiuti che possa sfuggire agli appetiti criminali: i carabinieri del Comando tutela ambiente hanno scoperto, infatti, al centro dei traffici anche le terre di spazzamento della città di Milano, le carte utilizzate per la pulizia delle mammelle delle mucche, le terre e gli inerti provenienti da lavori cimiteriali fino alle banconote triturate provenienti dalla Banca d’Italia”. Quella della Rifiuti Spa, insomma, è per molti aspetti un’impresa globale, una vera e propria ragnatela che sembra quasi avvolgere il nostro Paese, che ha raggiunto dimensioni rilevanti sia per ragioni strutturali (il ben noto deficit di impianti di trattamento e smaltimento) sia per la convergenza d’interessi, soprattutto nel nostro Mezzogiorno, con le organizzazioni di stampo mafioso. “Questo decennale – dichiara il Gen. Raffaele Vacca, comandante dei carabinieri tutela dell’ambiente – rappresenta un evento importante in quanto conferma il buon esito dei rapporti tra un’istituzione, quale l’Arma dei carabinieri, e un’associazione di liberi cittadini, quale Legambiente. Una collaborazione, nata nel 1994, che non solo si è concretizzata in attività di ricerca ma anche in attività di denuncia dei fenomeni di aggressione criminale all’ambiente”. Ma la vera novità è che per ogni tipologia di rifiuti trattati e per ogni passaggio attraverso la ragnatela della Rifiuti Spa è prevista una tariffa, che può oscillare da 1 a 50/60 centesimi di euro, anche se, curiosamente i trafficanti, quando parlano di prezzi e profitti, sono rimasti legati ai valori in lire. I quantitativi in gioco sono talmente rilevanti (un solo impianto analizzato durante un’inchiesta, l’operazione Houdini, gestiva illegalmente circa 200.000 tonnellate di rifiuti l’anno), che può essere conveniente guadagnare anche solo 1,5 lire per chilogrammo di rifiuto trattato. Prezzi notevolmente al di sotto di quelli di mercato, spesso fino alla metà di quelli legali, quando si tratta di rifiuti industriali provenienti da imprese private. Decisamente più alti della norma quando, invece, sono in gioco i rifiuti urbani provenienti da aziende municipalizzate o amministrazioni locali. I prezzi lievitano in maniera esponenziale per la semplice ragione che a pagare è l’ente pubblico, e cioè i cittadini. Ma vediamo nel dettaglio: terre di spazzamento delle strade, 55 lire al kg; imballaggi con residui di rifiuti pericolosi, 280 lire a kg (circa 15 centesimi di euro), fino a 350 lire al kg se “trattati” in maniera fraudolenta; rifiuti proveniente da impianti di tritovagliatura della Campania, 215 lire a kg; diluenti e altri rifiuti pericolosi, 500 lire a kg. A questi si aggiungono i prezzi delle terre e degli inerti da lavori cimiteriali, 30 lire a kg; il cosiddetto fluff a 185 lire al chilogrammo trasporto compreso; rifiuti costituiti da pentasolfuro di fosforo al prezzo di 1.200 lire al chilo. I prezzi praticati, tengono ovviamente conto anche delle difficoltà operative e delle esigenze della clientela. “A questo punto –continua il presidente di Legambiente - è chiaro che ci troviamo di fronte a un network dove s’intrecciano interessi e attività criminali che rappresentano una seria minaccia per l’ambiente, la salute e la sicurezza dei cittadini. Un mercato in piena regola, con i suoi prezzi per ogni tipologia di rifiuto e con i suoi profitti, a dire il vero molto alti, considerando i bassissimi costi da sostenere e la totale inosservanza delle più elementari regole di sicurezza, rispetto dell’ambiente e della salute”. Dietro questi numeri si “nascondono” infatti emergenze ambientali con decine e decine di siti contaminati da rifiuti pericolosi, caratterizzati da elevate concentrazioni di metalli pesanti, alcuni dei quali cancerogeni. Basta ricordare il fenomeno delle “montagne di rifiuti scomparsi”, ovvero quelli di cui viene stimata la produzione ma non se ne conosce il destino, per avere un’idea delle dimensioni raggiunte da queste attività illecite: nel 2002 (ultimo dato ufficiale disponibile) sono mancate all’appello 14,6 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, equivalenti a una montagna con una base di tre ettari e un’altezza di 1.460 metri, che si aggiunge alle altre 5 sorte nel quinquennio precedente. I rifiuti non si limitano a scomparire attraverso modalità illegali di smaltimento. Cambiano molto spesso “identità”, ovviamente solo sulla carta: attraverso il meccanismo del “giro bolla”, grazie al quale un rifiuto pericoloso diventa speciale, oppure con la complicità di un laboratorio di analisi che ne falsifica le caratteristiche. C’è da dire che l’Italia, nella lotta all’ecomafia e ai fenomeni di criminalità ambientale, costituisce un esempio, in Europa e non solo. I fenomeni criminali che vengono analizzati in questo dossier, non rappresentano, infatti, una “esclusiva” del nostro Paese. Come hanno già evidenziato ricerche condotte in sede europea e contributi elaborati dall’Europol, i traffici illegali di rifiuti, soprattutto quelli pericolosi, hanno una dimensione internazionale, si registrano in altri Paesi dell’Unione, hanno diramazioni verso Est, raggiungono, con i loro terminali, l’Africa e l’Asia. “Ma c’è da fare ancora molto lavoro, – fa sapere Enrico Fontana, responsabile Ambiente & Legalità dell’associazione ambientalista – e tra le azioni urgenti il più importante resta, senz’altro, l’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel nostro Codice penale che è al centro di importanti iniziative: dalle proposte approvate in sede di Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti a quelle della Commissione Nordio sulla riforma, appunto, del Codice penale fino alle decisioni già assunte in sede di Consiglio d’Europa”.